Un nuovo anno o solo un anno in più?
Il tempo avanza con ritmo, incurante dei nostri capricci: a volte vorremmo fermarlo, altre cancellarlo, altre ancora accelerarlo per anticipare un momento importante o far passare una situazione sgradevole. Non spetta a noi aggiungere un anno alla vita, per fortuna non è in nostro potere e, come dicevano gli Stoici, fa parte delle cose che non dipendono da noi. In Grecia, a guardia dello svolgersi dell’esistenza c’erano le Parche, a cui anche gli dei dovevano inchinarsi. Dare vita agli anni, al contrario, esige da noi un impegno che inizia con un atteggiamento attivo e perseverante, proprio di chi non si arrende di fronte alle difficoltà o non si addormenta quando il vento soffia a favore. Ci obbliga a non dire “ormai”, a non segnare mai una fine. Ci permette di cogliere l’opportunità di fare un bilancio della vita e verificare ciò che vale la pena portarsi dietro e ciò che è bene lasciare.
Vitalizzare il nuovo ciclo fa scegliere con coscienza il sentiero nella intricata foresta dell’esistenza.
Quando ero piccolo mi affascinavano i circhi e la cosa che di essi più mi piaceva erano gli animali e, tra gli animali, il mio preferito era l’elefante.
È il 1864 quando, nell’immediata periferia di Siracusa, l’archeologo Saverio Cavallari porta alla luce i resti di un monumentale edificio. Dallo scavo cominciano a mano a mano ad affiorare resti di colonne corinzie, pezzi di statue di personaggi romani; vengono ancora alla luce i resti di un grande porticato, il basamento di un tempio e la cavea di un piccolo teatro semisommerso dall’acqua. Dopo secoli di oblio l’antica Siracusa, quella dei fasti greci e romani, torna in superficie attraverso quei resti. Il Cavallari e gli archeologi che continuano la sua opera cominciano ad interrogarsi: “Davanti a cosa ci troviamo?”