Numero 18
Il Mistero dell'Elefante
Quando ero piccolo mi affascinavano i circhi e la cosa che di essi più mi piaceva erano gli animali e, tra gli animali, il mio preferito era l’elefante.
Durante l’esibizione, l’enorme bestia impressionava tutti con il suo peso, le sue dimensioni, la forza smisurata. Però, dopo la sua esibizione e fino ad un minuto prima di tornare sulla scena, si poteva trovare l’elefante dietro la tenda principale, legato con una catena che imprigionava una delle sue zampe ad un piccolo palo di legno conficcato nel terreno per qualche centimetro.
Il mistero è evidente: perché l’elefante non fugge sradicando il paletto, quando il suo sforzo sarebbe simile a quello che farei io per spezzare un fiammifero?
Quale forza misteriosa lo tiene legato, impedendogli di fuggire? Avevo sette o otto anni ed ancora nutrivo fiducia nella saggezza degli adulti. Chiesi allora ai miei genitori, maestri e zii, cercando di dare delle risposte a questo mistero...
Non ne trovai una coerente (l’età non è un ostacolo per percepire la coerenza, o la mancanza di essa, in quello che la gente ci dice). Qualcuno mi spiegò che l’elefante non fuggiva perché era ammaestrato. Feci allora una domanda ovvia: “Se è sicuro che è ammaestrato... allora perché lo incatenano?”. Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta che mi soddisfacesse. Con il tempo mi dimenticai del mistero dell’elefante e del palo... lo ricordavo soltanto quando mi trovavo con gente che mi dava risposte incoerenti per cavarsi d’impiccio ed un paio di volte con altre persone che si erano poste la stessa domanda. Finché un giorno ho incontrato una persona abbastanza saggia da darmi una risposta che alla fine mi ha soddisfatto: “L’elefante del circo non scappa perché è stato legato ad un palo per tutta la sua vita, fin da quando era piccolo”.
Chiusi gli occhi ed immaginai il piccolo elefantino, con solo qualche giorno di vita, legato al palo. Sono sicuro che in quel momento l'animaletto spinse, tirò, scalciò e sudò cercando di slegarsi, ma, nonostante tutto il suo sforzo, non poté liberarsi. Il palo era certamente troppo forte per lui. Potrei giurare che il primo giorno si addormentò sfinito per l’inutile sforzo e che il giorno dopo provò di nuovo e così ancora il seguente e quello dopo ancora...
Finché un giorno, un terribile giorno, l’animale accettò la sua impotenza e si rassegnò al suo destino. L’elefante smise di lottare per liberarsi. Questo elefante enorme e poderoso non fugge perché crede di non poterlo fare. Ha registrato nella sua mente il ricordo dei suoi inutili sforzi di allora e ora ha smesso di lottare; non è libero perché ha smesso di cercare di esserlo.
Non ha mai più cercato di mettere alla prova la sua forza! Ognuno di noi è un po’ come questo elefante: andiamo per il mondo attaccati a centinaia di pali che ci privano della libertà. Viviamo credendo che “non possiamo” liberarci da una enormità di cose, semplicemente perché una volta abbiamo provato senza ottenere risultati. Registriamo nella nostra mente: “Non posso... non posso e mai potrò”. Cresciamo portandoci dietro questo messaggio che noi abbiamo imposto a noi stessi e senza mai tornare a rimetterci alla prova. L’unica maniera di sapere quali sono le limitazioni ora è provare di nuovo, mettendo in questo proposito tutto il nostro cuore.