Numero 18
Ginnasio Romano o Sarapeum? Tra le antiche vestigia di Siracusa
È il 1864 quando, nell’immediata periferia di Siracusa, l’archeologo Saverio Cavallari porta alla luce i resti di un monumentale edificio. Dallo scavo cominciano a mano a mano ad affiorare resti di colonne corinzie, pezzi di statue di personaggi romani; vengono ancora alla luce i resti di un grande porticato, il basamento di un tempio e la cavea di un piccolo teatro semisommerso dall’acqua. Dopo secoli di oblio l’antica Siracusa, quella dei fasti greci e romani, torna in superficie attraverso quei resti. Il Cavallari e gli archeologi che continuano la sua opera cominciano ad interrogarsi: “Davanti a cosa ci troviamo?”
In aiuto degli studiosi arrivano gli autori antichi, Cicerone in primo luogo, il quale nella sua celeberrima orazione contro Verre, ex governatore romano della Sicilia che aveva saccheggiato e derubato l’isola, fa una minuziosa descrizione della topografia, degli edifici e dei monumenti dell’antica Siracusa. Proprio in quel luogo appena scavato, Cicerone colloca vari importanti edifici pubblici ognuno dei quali si candida ad essere il monumento portato alla luce. L’oratore romano parla in particolar modo della tomba di Timoleonte, importante politico siracusano del III sec. a.C. al quale furono tributati grandi onori per aver posto fine ad una guerra civile a Siracusa, e descrive, in corrispondenza della stessa tomba, un ginnasio, luogo deputato all’educazione dei giovani con, in genere, larghe aree immerse nel verde, campi per la corsa e per gli esercizi ginnici e spazi per l’apprendimento. Gli archeologi portano alla luce un grande porticato, probabilmente usato per delimitare i campi per gli atleti, e la cavea del teatro, forse adibita allo svolgimento delle lezioni. Quest’ipotesi non ottiene mai una conferma definitiva mentre ulteriori scoperte archeologiche fanno avanzare agli studiosi un’ulteriore affascinante supposizione. A meno di duecento metri dal sito viene trovato un frammento di iscrizione in latino. Quel poco che rimane del testo cita un magistrato romano che, a proprie spese, aveva restaurato il Serapeum, il tempio dedicato a Serapide, dio il cui culto proveniva dall’oriente e che era giunto nelle colonie greche d’occidente sull’onda della cultura cosmopolita d’epoca alessandrina. Serapide era a quell’epoca già venerato in Egitto e, secondo alcuni, il suo culto si era sviluppato fondendo i rituali di due divinità antichissime: Osiris e Api. I Greci, venendo a contatto con gli antichissimi culti egiziani e confrontandoli con i propri, vi trovarono corrispondenze con gli attributi delle proprie divinità, in particolar modo Zeus, il re degli dei, Ades, il re degli inferi, e Asclepio, dio della medicina. Per questo motivo Serapide veniva sempre rappresentato con l’imponente volto del re degli dei e accompagnato dal cane a tre teste Cerbero, guardiano degli inferi, e con attributi quali il bastone di Asclepio con il serpente attorcigliato.