Pantalica, roccaforte dei monti Iblei

Quando si pensa a Siracusa ed al suo passato, non si può fare a meno di portare alla mente le vestigia della città classica: il teatro, i templi e tutto ciò che i coloni greci hanno costruito per abbellire la loro polis. Resti antichissimi che portano con se più di duemila anni di storia. Basta, però, spostarsi di qualche chilometro dalla costa per trovare vestigia che fanno apparire “giovane” la Siracusa greca, e che appartengono ad una civiltà il cui ricordo si perde nel tempo.
Si tratta di “Pantalica”, un altopiano roccioso, virtualmente inaccessibile se non attraverso uno stretto passaggio, la “Sella di Filiporto” che si inerpica lungo il pendio occidentale del monte.

È qui che all’incirca 3500 anni fa stabilirono un loro insediamento i Siculi, una popolazione da cui oggi prende il nome la Sicilia e il cui paese originario è ancora incerto.
Gli autori antichi li indicano come i primi abitanti della Sicilia, insieme con i Sicani, arrivati cronologicamente subito dopo i “Ciclopi ed i Lestrigoni” di cui Tucidide ed Omero ci parlano.
Siamo in un’epoca in cui le città della Grecia classica sono ancora lungi dal nascere, un’era in cui il ferro è ancora sconosciuto ed il bronzo è la grande innovazione tecnologica. Siamo nell’epoca degli eroi di cui ci parla Omero nell’Iliade e nell’Odissea, per intenderci, quando era il popolo Miceneo, del leggendario Agamennone, a solcare i mari in cerca di nuovi approdi commerciali. È proprio in quest’epoca che la roccaforte di Pantalica raggiunge la sua massima potenza. Poco si conosce della storia di questo popolo. Storicamente siamo nel XIII sec. a.C., un’epoca che gli archeologi definiscono “protostorica”. Prima di arrivare all’età classica, il mondo ellenico dovrà ancora attraversare ciò che gli studiosi chiamano “medioevo greco”, un’epoca buia di almeno trecento anni durante la quale si arrivò anche a dimenticare l’uso della scrittura.
Molti storici tendono oggi ad identificare l’abitato di Pantalica con la mitica Hybla.
Oggi, quello che maggiormente colpisce alla vista, visitando Pantalica, è la sua fitta vegetazione: un grande canyon naturale nel cui fondo scorre il fiume Anapo che poi sbocca nel porto grande di Siracusa.
A mano a mano che ci si avvicina ai resti dell’antico insediamento, ci si accorge che le pareti lisce ed altissime sono costellate da miriadi di tombe scavate nella roccia. L’inacessibilità delle tombe e la ricchezza dei corredi che contenevano ci dà un’idea della sacralità che i Siculi attribuivano al trapasso che era strettamente legato con la vita stessa. Il defunto veniva infatti collocato in posizione fetale, con attorno gli oggetti più preziosi e più cari della sua vita quotidiana.
Nulla rimane oggi dell’antico centro abitato: sicuramente si trattava di capanne costruite utilizzando le abbondanti risorse di legno della zona, un materiale che nel corso dei secoli si è a poco a poco decomposto.
Il numero delle tombe ci dà però un’idea dell’imponenza che doveva avere il villaggio.
Le fondamenta di un edificio monumentale sono però rimaste integre, l’unica costruzione in pietra, quello che oggi viene chiamato l’Anaktoron o “Palazzo del Principe”.
Un edificio particolarissimo che, per il solo fatto di essere costruito in pietra, ci dà testimonianza del suo ruolo importante. Le fondamenta sono costruite in blocchi megalitici che vanno a creare non meno di otto vani.
Storici ed archeologi possono solo provare ad avanzare ipotesi su un periodo così remoto, di cui praticamente non ci rimangono fonti scritte. L’edificio appartiene alla Pantalica più antica, il XIII sec. a.C.
Certo è che l’Anaktoron, per il suo stile ricorda tantissimo le costruzioni megalitiche di Micene o di Tirinto. Oggi sono in molti ad avanzare l’affascinante ipotesi che il palazzo venne commissionato ad architetti e maestranze micenee per costruire una maestosa dimora per un grande sovrano.
Nelle tombe di Pantalica d’altra parte sono stati ritrovati numerosissimi manufatti di origine micenea che ci confermano i contatti commerciali con questo popolo e il pregio in cui erano tenuti i loro manufatti artistici.
Un altro particolare del palazzo ha affascinato gli studiosi: uno dei vani è stato identificato come una fucina, ricca di resti di bronzo. Un metallo che all’epoca era la vera innovazione tecnologica, anche perché permetteva di costruire armi molto più solide delle antiche armi in rame. Un segreto, quindi, quello del bronzo, che probabilmente era ben custodito all’interno del palazzo e dai pochi artigiani in grado di realizzarlo.
Pantalica, probabilmente grazie anche alla sua posizione arroccata, ricca di acqua e facilmente difendibile, ebbe una vita lunga: è ancora fiorente quando la Grecia, nell’VIII sec. a.C., esce dal suo medioevo e i coloni ionici e dorici ricominciano a solcare i mari per fondare nuove colonie. Tucidide ci racconta l’epopea dei coloni megaresi che sbarcano sulle coste della Sicilia orientale per fondare una nuova colonia. Inizialmente vengono cacciati dai “cugini” della città di Leontini e trovano rifugio nel piccolo emporio commerciale di Thapsos, strettamente legato a Pantalica. Poi, il re di Pantalica, Iblone, in segno di amicizia concede loro un vasto territorio per fondarvi una propria città: Megara Iblea, così chiamata in onore della città di origine dei coloni, Megara, e come ringraziamento al re Iblone.
È all’incirca in quest’epoca che termina la vita secolare di Pantalica. Poco distante, viene fondata Siracusa che scaccia gli abitanti siculi dall’isolotto di Ortigia: Pantalica, con la sua posizione strategica, non poteva che essere una minaccia.
Non abbiamo notizie ma venne sicuramente sopraffatta dai coloni greci, che vi installarono un proprio insediamento, come ci dimostrano i resti di un muro difensivo ellenico e le fondamenta di un tempio dedicato a Demetra e Kore.
Pantalica non ha mai più raggiunto lo splendore antico, sebbene, per la sua posizione, sia spesso stata utilizzata come rifugio sicuro. Più volte la popolazione vi ha trovato riparo nei periodi più bui della storia, prova ne sono anche gli abbondanti resti di epoca medievale ed i piccoli oratòri di eremiti che vi vennero costruiti. Poi Pantalica venne dimenticata per secoli, per essere riscoperta solo agli inizi del novecento. Ancora oggi rimane uno splendido rifugio, uno dei pochi posti in cui vi è ancora una natura incontaminata e protetta, in cui si può “fuggire” dal caos della città e dai frenetici ritmi quotidiani. Un luogo quasi magico, che ispira un rispettoso silenzio, per i millenni di storia che porta con se.