Un infanzia da custodire... bambini da educare per divenire se stessi

Si sono accesi gli interessi, in verità già da qualche anno e da parte delle più autorevoli voci istituzionali e non, sulle fasi evolutive riconosciute, forse, come le più importanti della crescita dell’individuo: l’infanzia e l’adolescenza, intese come le età durante le quali ogni persona forma e delinea se stessa in tutta la sua complessità e unicità...
Dall’infanzia all’adolescenza, l’intero percorso accrescitivo dell’individuo mette in gioco tutte le indefinibili potenzialità in possesso per attivare, nell’età adulta, i misteriosi congegni che definiscono la nostra personalità. Da soli? Alcuni magari sì... ma per tanti altri, la funzione trainante viene assolta indiscutibilmente da quegli “adulti significativi”, primi tra tutti i genitori, senza voler dimenticare insegnanti e gruppi parentali, ai quali ogni bambino guarda quasi a cercare ispirazione ed esempi di vita.
Quando si parla di educazione, soprattutto in ambito scolastico, si è soliti riferirsi al ristretto campo dell’istruzione vera e propria tanto che, con sempre maggiore difficoltà, si riesce a distinguere fattivamente tra “informazione”, o al più formazione, ed “educazione” intesa come libera espressione della complessità della persona.
Eppure è di educazione che si sente maggiormente la mancanza quando i nostri giovani, bambini che furono, si trovano impietriti davanti alle difficoltà, indeboliti dalle sfide quotidiane, incapaci di affrontare le piccole o grandi scelte alle quali la vita li chiama. Che cosa manca, dunque, nella crescita di questi bambini, di quale ingrediente ancora hanno bisogno scuole e famiglie per poter dar loro quello di cui hanno bisogno per vivere appieno la vita?
Dobbiamo guardare alle numerose ricerche in campo psicopedagogico e, forse, anche in
quello sociologico, per poter comprendere come molte cose siano cambiate e come tante altre sveglino interessi e preoccupazioni tipiche della nostra società. Una società fatta di nuovi modelli, di nuovi bisogni ai quali, volenti o dolenti, anche il mondo dell’infanzia e della adolescenza è condotta a guardare.
Fare felice un figlio? Se fino a qualche decennio fa la risposta sarebbe andata verso le piccole gioie della vita, verso un abbraccio o le accortezze di un genitore, adesso ci si rivolge ad altri “beni” che, nel loro materialismo, lasciano comunque un grande vuoto che pare non estinguersi. Ed è subito allarme perché pare essere proprio quest’indicibile vuoto a condurre verso i grandi baratri dell’adolescenza: dalla droga all’indifferenza, dalla piccola delinquenza alla perdita del senso per la vita.
L’attenzione si rivolge, dunque, proprio a quell’infanzia che per tanto tempo, troppo, è stata considerata come un’età d’attesa, un’età poco produttiva, fatta esclusivamente di giochi e leggerezze.
Finalmente si torna a guardare all’infanzia con uno sguardo nuovo. È proprio durante quest’età, ci insegnano le moderne ricerche ma anche i grandi saggi del nostro passato, che il bambino costruisce la sua personalità adulta, le “griglie mentali” che gli faranno leggere la vita, i sentimenti di base che lo caratterizzeranno come una persona aperta e disponibile o chiusa e riluttante.
Se il bambino cresce in un’atmosfera affettiva ricca di stimoli e gratificante, se cresce imparando a dare ad ogni cosa il giusto valore, circondato da esempi più limpidi e senza maschere, avrà di certo armi più efficaci per affinare un “motore” personale che gli permetterà di regolare i propri stati d’animo, di vincere gli ostacoli o, nonostante gli insuccessi, di alzarsi e riprovare qualunque cosa la vita riservi per lui.
Sono capacità che il bambino comincia a fare sue già dalla più tenera età, quando ogni cosa viene letta con il potente filtro del sentimento, quel filtro che si nutre di attenzioni, di cure, di parole e di capacità di ascolto che ogni genitore, ogni adulto, può offrire al bambino, magari con un po’ di sforzo rispetto all’acquisto di un qualunque ninnolo si trovi sugli scaffali di un grande magazzino.