Il chiaro Parmenide e l'oscuro

Cari lettori, ospitiamo oggi Parmenide, indicato come il padre della metafisica e della logica, dell'ontologia, cioè della scienza di ciò che è nelle cose. Nonostante sia definito "l'oscuro" cercheremo di portare un po' di luce sulla sua ricerca filosofica.

Maestro, lei è il primo filosofo italiano nostro ospite dopo alcuni greci.
Sì, salernitano per la precisione. La nostra Elea, Velia per i Romani, si trovava un po' a sud di Paestum.

Lei nacque nel 515 a. C. da famiglia illustre e ricca.
Vero. Anche i soldi possono diventare uno strumento positivo se usati per cercare il Sommo Bene come lo chiama Platone.

Proprio Platone le dedica una delle sue opere massime, Il Parmenide appunto. Perché?
Certo in ricordo del mio incontro con il suo amatissimo maestro Socrate, ad Atene. Avevo già sessantacinque anni, Socrate era un giovanotto di circa venti; Platone, poi, doveva ancora nascere…

In un'altra opera, il Teeteto, ancora Platone la descrive come “venerando ed insieme terribile”.
Sì. Platone stesso dice di essersi ispirato a versi dell'Iliade su Agamennone.

Ma dice anche altro; ecco, trovo il punto… “mi parve di un'altezza e nobiltà di mente addirittura meravigliosa”.
Sono parole di grande affetto.
Fanno piacere, ma non fino all'orgoglio…

Lei fu anche un politico.
Sì, fui legislatore e i miei concittadini tanto apprezzavano le mie leggi che ogni anno giuravano di restare fedeli ad esse.

Ma chi è il fondatore della scuola di Elea? Lei o Senofane?
Senofane era di Colofone sulle coste turche, ed aveva circa trent'anni più di me; visse a lungo e, fra l'altro, scrisse poesie contro l'operato di Omero ed Esiodo che avevano diffuso fra il popolo i segreti degli dei; la stessa posizione avrebbe espresso anche Platone. Viaggiò per tutta la Grecia; fu a Catania ed anche ad Elea, dove ascoltai i suoi discorsi. Era un viaggiatore, ma per fondare una scuola occorre dedicarci l'intera vita. Era uomo di vasta sapienza e gli devo molto, così come devo moltissimo al pitagorico Aminia che mi avviò alla filosofia.

Infatti Giamblico la ricorda proprio come pitagorico nel suo meticoloso elenco. Ma veniamo ad altro. Maestro, perché molti filosofi della sua epoca, fra cui lei stesso, hanno scritto opere dedicate alla Natura?
Per noi la Natura era il punto di partenza per ricercare il Grande Mistero che la anima. La nostra non era una ricerca solo tecnica, ma filosofica, cioè con una visione globale che coinvolge tutte le componenti umane.

Parmenide lei è detto l' "oscuro". I suoi versi, sinceramente, non sono immediati. Nel suo poema lei immagina un viaggio su un carro trainato da cavalle, con fanciulle che le indicano il cammino verso la dimora di una dea che la introduce alla conoscenza della Verità. Cosa vuole intendere con questo viaggio ispirato al femminile?
Innanzitutto ho scritto in versi per ricordare e diffondere più facilmente le idee, ma mi rendo conto che, passati tanti secoli, e soprattutto cambiando lingue e culture, un testo poetico ottenga proprio l'effetto contrario e risulti molto oscuro. S'immagini cosa potrebbe essere capito del poema di Dante fra duemila anni, magari se ne restassero appena un centinaio di versi, com'è successo con il mio!
Dunque, nella mia opera descrivo un viaggio simbolico verso la Saggezza. Il viaggio mi conduce ad una porta che si apre su due sentieri, del Giorno e della Notte. La porta, controllata dalla dea della Giustizia, mi viene aperta solo per intercessione delle Figlie del Sole. Così il mio viaggio può concludersi al cospetto della dea benevola della Verità che mi svela i segreti della Saggezza adattandoli alla logica umana.
Quanto poi all'essermi affidato al femminile, le dirò che per capire occorre amare e le donne sono amore. Anche altri si sono affidati alla benevolenza femminile. Esiodo non invoca le Muse? Omero non invoca una dea?

Lei fa dire alla dea concetti molto complessi… che l'Essere è e il Non-Essere non è. Cos'è? Un gioco di parole? Un rompicapo?
Proverò a spiegarmi, ma prima mi consenta di fare alcune premesse. Innanzitutto il primo motore di questo viaggio nel profondo di sé deve essere la propria forza di volontà. Altra condizione necessaria è il desiderio di capire che è il sapere profondo e non enciclopedico e superficiale. Occorre poi la buona sorte, ovvero un destino favorevole che pazientemente ciascuno si costruisce in tante vite.

Insomma Maestro lei ci sta dicendo che questo cammino non è per tutti.
Sono condizioni difficili, lo ammetto, ma non impossibili. Tutto nella vita è una conquista. Non si conquista e si difende un amore o un lavoro? La cultura non va    acquisita in tanti lunghi anni di scuola e non va poi alimentata nel resto della vita per non dimenticarla? Quindi chi vuol capire, e non solo conoscere, deve impegnarsi.

Lei, dunque, è lontano dalla visione aristotelica che vede invece la crescita per l'essere umano nello studio delle cose del mondo.
Sì, da Aristotele sono abbastanza lontano, ma lui è lontano da molti. Torniamo a quel dilemma che l'Essere è e il Non-Essere non è.  Cercherò di spiegarmi. L'essere umano è immerso in un oceano di cose che riesce a vedere, sentire, toccare o almeno pensare: piante, montagne, animali, la Terra, l'Universo; infiniti atomi… Le differenza fra queste cose è creata dai nostri sensi attraverso i giudizi di lontananza, qualità, grandezza ecc. che una parte della nostra mente (badi bene: una parte) registra creando quella che chiamiamo "esperienza".
Ma, domandiamoci, le cose sono proprio come le vediamo? Per esempio, una stella e un moscerino sono esseri diversi, oppure hanno somiglianze? Ai miei tempi avevamo la risposta, ma era difficile dimostrarla. La scienza moderna, invece, potrebbe dimostrare che una stella e un moscerino hanno qualcosa in comune, come se un' Unità si fosse moltiplicata in miliardi di esseri.
Immagini, ora, che l'essere umano, anziché i deboli sensi che ha, per esempio la vista, avesse una vista mille volte più potente, un po' come in quei fumetti, come lo chiamate? quel Superman... Come vedremmo le cose? Non così nettamente distinte fra loro. Cioè non vedremmo la separazione fra il moscerino e una foglia, ma vedremmo miriadi di atomi che vibrano all'intorno. Vedremmo "più in dentro" nelle cose, almeno fin dove potrebbe questa vista più acuta e quindi avremmo anche una nuova superficie esterna di ogni cosa!
Dunque siamo immersi in un mondo creato dal limite dei nostri stessi sensi! Siamo in una bella gabbia, mio caro amico. Percepiamo il mondo nel modo umano, ma il mondo è mille volte più complesso. Non dice anche Protagora che l'Uomo è misura di tutte le cose?
Quella che chiamiamo "realtà" è dunque frutto delle nostre limitazioni e quindi è una visione molto parziale, se non addirittura l'illusione di un momento. Sembra vero l'albero davanti a me; vera la pioggia che mi bagna; vero il denaro che ho nelle mani. Invece, tutto è limitato dai limiti umani. Le nostre conoscenze sono inesorabilmente parziali e dovremo sempre aggiornarle perché tutto è senza un volto definitivo. Quello che noi crediamo "vero" in realtà non lo è ed è proprio questo il Non-Essere di cui mi parla la dea. Sembra un gioco di parole: ciò che sembra essere invece non è.

Perché siamo condannati a vivere in un mondo così illusorio?
Buona domanda. È un dio burlone a farci vivere in questa gabbia o ci siamo rinchiusi da soli? Tentiamo una risposta. Gli umani rispetto a minerali, vegetali e animali hanno in più la Mente. Una parte di essa, come abbiamo detto, lavora per esaudire tutti i nostri desideri. Va avanti per "opinioni": si fa un'idea su una situazione; l'idea si cristallizza mentre la situazione che l'ha generata è già cambiata! In fondo è un piccolo strumento appena un po' adatto per le piccole cose quotidiane. La usa quella ampia parte dell'umanità che io chiamo "uomini a due teste", che si illudono che il mondo sia proprio come lo vedono e non si curano di trovare il vero.

L'Umanità, allora, sembra una statua appena abbozzata.
Sì, l'umanità si sta scolpendo, ma pian piano, perché è ancora troppo immersa nel mondo delle illusioni che la trascina a soffrire. Questo concetto è quello che un mio ben più grande contemporaneo, Buddha, in altra parte della terra, chiamava Dukka, il dolore. In fondo, dice, sono gli umani stessi a voler soffrire perché l'eccessivo attaccamento alla vita provoca illusioni, dolore e morte.

Ma c'è una via d'uscita da questa gabbia angosciante? Da questa via della Notte, come la chiama lei?
Certo è la Via del Giorno! È la via della ricerca della Verità. Poco fa abbiamo detto che l'essere umano usa una piccola parte della sua mente, quella legata all'eterno divenire. Ma c'è anche una Mente Superiore con cui potrebbe percepire aspetti più sottili come il Bello, il Buono e il Giusto.

Perché l'Umanità dovrebbe interessarsi all'Essere e non al Non-Essere? Così lei impedisce la conoscenza scientifica.
La dea mi disse che esistono due vie: l'Essere e il Non-Essere e che questa seconda è un sentiero impossibile per gli umani. Impossibile nel senso che non porta ad uno sbocco veramente utile per loro. Mi spiego: la via del Non-Essere, cioè delle cose del mondo, non è negata agli umani - infatti hanno libertà di scelta - ma, con franchezza, è solo una perdita di tempo. È sprecare la vita, perché veniamo in questo gran teatro non per far felice il corpo ma per sviluppare la scintilla dello Spirito.
Certo che possiamo conoscere i misteri del mondo, ma questa conoscenza deve servire ad un costante miglioramento spirituale e non solo tecnologico.
Vede, l'Uomo moderno ha solo scelto la via più facile, quella di una comoda poltrona dove tenta di alleviare dolore, fatica e perfino la morte. Illusione delle illusioni! A che serve vivere trent'anni di più ma senza un barlume superiore di coscienza?
Quando scopriamo una nuova specie o una nuova stella cosa aggiungiamo al destino dell'Anima? Siamo sinceri, praticamente nulla. Cosa rende felice l'essere umano: sapere il nome di centomila stelle oppure avere un vero amico? L'Anima non resta per nulla intaccata dalle scoperte che voi chiamate scientifiche.

Insomma, per concludere, la sua filosofia a cosa porta?
Io e tanti altri che mi hanno preceduto e seguito, abbiamo l'idea che la vita serve a conoscere sé stessi per migliorarsi, combattendo contro la natura animale che ancora ci avvolge. Vogliamo mettere in guardia dai pericoli della mente umana che è solo uno strumento datoci per capire; certo più sottile dei sensi fisici ma è pur sempre umano, troppo umano.

Maestro, è ormai tempo di lasciarci, ma forse siamo riusciti a togliere qualche velo che oscura la sua grandezza.