Visti per voi: Arthur

Si può fare! Ecco cosa ha detto Luc Besson, regista e produttore francese noto per aver portato alla ribalta Jean Reno dando vita all’action francese, all’uscita del suo ultimo lavoro “Arthur e il Popolo dei Minimei”. Si tratta di un progetto ambizioso, che ha coinvolto più di settecento persone per cinque anni, «ragazzi che spesso sono costretti ad emigrare negli Stati Uniti per mettere in pratica la propria professionalità» sottolinea il regista, e ha investito 60 milioni di euro (non dollari!), ricavati in buona parte dal successo dei tre capitoli di “Taxxi”.

È nato così il primo lungometraggio europeo in animazione digitale realmente degno di questo nome e, lo speriamo davvero, capace di creare un nuovo ambito di eccellenza del cinema europeo.
Ancora una volta il regista francese si oppone alla ridondanza culturale americana affrontando Hollywood sul suo stesso terreno: l’intrattenimento più spettacolare, ben pubblicizzato e corredato da un’ondata di gadget.
Il soggetto è un’idea originale di Luc Besson da cui è nata una nuova saga fantasy per ragazzi. Questa volta non ci si confronta con orchi ed elfi, ma con incredibili popolazioni africane e nani da giardino, tutti misteriosamente alloggiati tra i fiori e gli ortaggi della nonna. Li ha portati lì nonno Archibald, vecchio esploratore, ma ora quel posto non è più sicuro: i debiti si accumulano e la scomparsa dell’avo - non è morto, è letteralmente sparito: un bel mattino la nonna si è alzata e puff, Archibald non c’era più! - lascia la casa in balia del cattivissimo Davido. Per scongiurare la catastrofe il nipotino Arthur si fa piccolissimo e parte alla ricerca del nonno e di un misterioso tesoro tra i Minimei. Dai loro due millimetri d’altezza inizia così un avventuroso viaggio riscoprendo il giardino di casa da un punto di vista molto particolare: la natura da lì ha un altro aspetto e le azioni che all’uomo appaiono irrilevanti assumono tutt’altro senso ed… estetica.
La narrazione esprime tutte le caratteristiche della fiaba contemporanea, affiancando le caratterizzazioni nette dei personaggi di sfondo all’evoluzione esperienziale ed emozionale dei protagonisti tipica delromanzo di formazione.
Nonostante la trasposizione americana del film rispetto al libro la Francia degli anni Cinquanta, ancora segnata dalla Seconda Guerra Mondiale, sarebbe stata un’ambientazione troppo cupa - restano alcune caratteristiche che differenziano significativamente il testo dagli analoghi statunitensi: la portata storica del personaggio del nonno, ingegnere, esploratore ed antropologo, che rimanda a certi geni a tutto tondo del Vecchio Continente ed al passato coloniale francese, è un elemento molto raro oltreoceano, dove si cerca per lo più di connotare l’immediata contemporaneità.
La disposizione al dubbio ed alla ricerca della comprensione, in contrapposizione alla stigmatizzazione bene-male e vero-falso, la problematica dell’uso etico di scienza e tecnologia, la volontà di scoprire e comprendere e la capacità di raffrontarsi al nuovo mettendosi in discussione sin dall’inizio e, soprattutto, il rapporto di fiducia come base del vivere sociale segnano, altrettanto significativamente, la differenza tra le due culture.
Lo sviluppo dell’animazione, svolta in collaborazione con Atari, ha puntato soprattutto sull’imitazione quasi fotografica della realtà: gli sfondi riproducono in maniera estremamente realistica colori, densità e superfici, in questo micromondo si muovono folletti estremamente plastici che strizzano l’occhio ai pupazzi di plastilina di ben più antica tradizione.
Luc Besson ha selezionato due team di sviluppatori che hanno prodotto in parallelo sia la grafica del film che quella del videogioco, uscito in contemporanea, partendo dai disegni e dalle sequenze girate appositamente. I due gruppi, quotidianamente supervisionati dal regista, hanno sperimentato così un nuovo modo di lavorare che ha evitato le ovvietà del Motion Capture.
“Arthur” non ha la fluidità dei prodotti Pixar e l’aspetto dei personaggi non è certo originale - deludente l’aspetto potteriano dell’innominabile M il malvagio - ma il film inchioda i bambini, anche i più piccoli, alle poltrone, mantiene sempre un buon ritmo ed un’ottima impostazione delle inquadrature e racconta una storia avvincente ed interessante, capace di riportare un po’ d’Europa nell’immaginario infantile.