La Sindone

La Sindone, oggi conservata a Torino, è un telo di lino rettangolare (4,41 x 1,13 m.), tessuto a spiga, su cui è impressa l’impronta frontale e dorsale di un uomo. Secondo un’antica tradizione sarebbe il telo funerario che, come riferiscono i Vangeli, ha avvolto il corpo di Gesù nella tomba e pertanto l’immagine in esso riprodotta sarebbe l’impronta del Cristo composto nella morte.
Dovrebbe risalire al I secolo d.C., però entra nella storia a metà del XIV secolo senza che se ne siano più perse le tracce.

I negatori della sua autenticità basano la loro tesi essenzialmente sulla mancanza di documentazione anteriore al XIV secolo e sui risultati forniti dalla datazione con il metodo del carbonio 14, effettuata nel 1988, che ne ha dichiarato medioevale il tessuto (1260-1390).
Occorre riconoscere che la ricostruzione della storia della Sindone presenta ancora aspetti problematici, ma esistono documenti anteriori al XIV secolo con i quali è possibile, anche senza certezze definitive, colmare la lacuna. Di essa parlano tutti e quattro i Vangeli utilizzando i termini sindon (Marco e Matteo), othonion (Giovanni) o entrambi (Luca). Dopo la sua scoperta nella tomba vuota, la Sindone sarebbe stata portata a Edessa, nella Turchia orientale, ove si diffonde la tradizione dell’immagine del volto Cristo “non fatto da mano d’uomo”; infatti è conservata ripiegata, in modo che se ne veda solo il volto.
Il 15 agosto 944 è trasferita a Costantinopoli e si scopre che l’immagine reca l’impronta dell’intero corpo. Nel 1204, però, la Sindone sparisce a seguito del saccheggio della IV crociata, per ricomparire in Francia nel 1355 in possesso di Goffredo di Charny.
Il 22 marzo 1453 viene in mano di Ludovico di Savoia che la depone a Chambery, capitale del Ducato; nel 1578 è trasferita a Torino, nuova capitale, da Emanuele Filiberto; infine Umberto II di Savoia la lascia per testamento alla S. Sede nel 1983.
Una testimonianza dell’esistenza della Sindone precedente alla datazione dei carbonisti è fornita dal Manoscritto Pray, datato con certezza al 1195, che raffigura in due miniature il Cristo con le caratteristiche dell’Uomo della Sindone (corpo nudo, braccia incrociate sul pube, assenza del pollice) e il telo funerario con la struttura a spiga e quattro piccoli cerchi, segni di bruciature, presenti ancora oggi sulla Sindone. L’autore di queste due miniature deve aver necessariamente visto la Sindone.
Molte sono le perplessità sollevate anche dalla datazione al radiocarbonio, che presuppone la purezza del campione. Quello esaminato, prelevato da un unico sito tra i più inquinati del lenzuolo, aveva un peso specifico doppio rispetto alla Sindone e di esso sono state fornite versioni contrastanti circa il peso e le misure. Come mai? Le possibilità sono solo due: sono stati forniti dati errati, oppure questi non si riferivano al campione della Sindone. È anche nota la storia assai travagliata della Sindone che ha subito più di un incendio: è stata imbevuta dell’acqua usata per spegnere il fuoco ed esposta per lunghi periodi all’ambiente esterno o a quello interno saturo del fumo delle candele. Sul tessuto è stata riscontrata la presenza di un rivestimento bioplastico, prodotto da funghi e batteri, posteriore alla sua fabbricazione e non eliminabile con i normali trattamenti di pulizia in uso presso i laboratori che può falsare la datazione al radiocarbonio (ciò vale per tutti i tessuti: esami al Carbonio-14 sulle mummie danno risultati differenti per il corpo e per le bende che l’avvolgono).
Inoltre, secondo una ricerca di Raymond Rogers, il campione sindonico prelevato per la radiodatazione ha proprietà chimiche differenti dalla parte principale della reliquia e sarebbe «stato tagliato da una zona rammendata nel medioevo».
I fautori dell’autenticità basano, invece, le loro affermazioni sui risultati forniti da una serie di discipline scientifiche, umanistiche e sperimentali e dimostrano che si può giungere a provare l’autenticità della Sindone di Torino come telo funerario di Gesù o, quantomeno, a raggiungere un’elevata probabilità.
L’immagine è un negativo fotografico, come scoperto nel 1898 quando alla Sindone fu eseguita la prima fotografia. È anche tridimensionale, cioè la sua diversa intensità è dovuta alla differente aderenza del telo al corpo e questo ci assicura che la Sindone ha realmente avvolto un corpo umano e non può essere un falso pittorico.
Sul telo sono stati inoltre rinvenuti pollini di piante caratteristiche dell’area mediorientale, fra cui ne predominano due esclusive di Gerusalemme e altre anatoliche e dei dintorni di Costantinopoli.
Sul sopracciglio sinistro e sulla palpebra dell’occhio destro dell’Uomo raffigurato c’è l’impronta di due monete fatte coniare da Ponzio Pilato (29-31 d.C.).
Nel 1978, un’équipe internazionale ha effettuato una serie di esami e prelievi stabilendo che le macchie sono di sangue umano del gruppo “AB”; che sul tessuto è da escludere la presenza di pigmenti e di coloranti e che l’immagine corporea è assente al di sotto delle macchie ematiche (quindi si è formata successivamente a esse ed è dovuta all’ossidazione disidratante del tessuto avvenuta tramite un processo ancora ignoto, ma certamente senza uso di mezzi artificiali).
I segni presenti sul corpo presentano una mirabile coincidenza con quanto raccontano i Vangeli e con quanto noto all’archeologia: corrispondenza delle ferite al flagrum taxillatum1 romano; corona di spina; segno dei chiodi non nel palmo della mano, ma nel polso; la morfologia delle macchie di sangue in esatta corrispondenza di vene o arterie.
L’autenticità di una reliquia è un fatto essenzialmente scientifico e, infatti, la Chiesa non si è mai pronunciata sull’autenticità della Sindone; ne ha però approvato il culto. In particolare Giovanni Paolo II più volte ha parlato della Sindone affermando «Reliquia lo è certamente» e definendola «Singolarissimo testimone - se accettiamo gli argomenti di tanti scienziati della Passione, della Morte e della Risurrezione di Cristo. Testimone muto, ma nello stesso tempo, sorprendentemente eloquente».

Antonio Menna
del Centro Studi Sindone di Roma

1 Un tipo di frusta con piccoli piombi, a forma di manubrio, legati all’estremità delle corde.