Alfabeto dell'anima

Nel gioco quotidiano della vita non è difficile trovarci davanti all’antico confronto fra quello che vorremmo essere e l’altra “faccia” di noi, forse molto meno ambiziosa, che, ai voli pindarici della creatività e dell’entusiasmo, preferisce il già noto, quello che ci sta addosso come un abito e al quale siamo in fondo affezionati; ma che contribuisce a renderci un po’ più infelici, insoddisfatti, come se esistesse un baratro incolmabile tra noi e gli altri, tra noi… e noi stessi.
Potrebbe veramente sembrare il paradosso della nostra esistenza, ma com’è vero che ci si conosce sempre troppo poco! Si impara sin da piccoli a guardare il mondo attorno a noi, a voltare lo sguardo verso gli altri - ahimé, molto spesso per giudicare - , a definire e indagare, a catalogare ed etichettare.
Ma quante volte si è sfuggiti al proprio stesso sguardo, interessati come siamo solo a tutto quello che ci accade intorno? Ed ecco che, proprio quando la vita si rivolge a noi, ci pone scelte o esige riflessioni sincere, ci sentiamo smarriti, a volte inadeguati, come se non fossimo in grado di comprendere quello che veramente desideriamo, incapaci di leggere le nostre reali volontà, quelle che, chissà, potrebbero veramente renderci felici, soddisfatti, entusiasti.
Difficilmente la si insegna a scuola e sono pochi i testi accademici che si confrontano con questa imponente esigenza dell’Uomo: dare senso a quello che prova, capire cosa gli accade, i motivi dei confronti, il perché dei dissapori; cosa gli rimorde dentro quando non si “riconosce” più, quando non capisce che lingua parli quell’altra parte di sé.
E di lingua si parla, in effetti. Se una parte di noi - quella che sta alle maschere sociali, che si è costruita un ruolo, che indossa un costume e porta avanti il suo copione di vita - si esprime al mondo spesso secondo convenzioni e frasi risapute, ci sono altre dimensioni interiori che proprio non riescono a restringersi in panorami tanto gretti! Le percepiamo proprio quando ci allontaniamo da tutto il resto con il coraggio di guardare dentro ciascuno di noi. Ciò che sta dall’altra parte di quel baratro, comunica con noi, ma utilizza un linguaggio ben più complesso, diverso da quello che si costruisce con sintagmi e parole, al quale proprio non siamo abituati ma che si srotola davanti ai nostri occhi quando questi imparano a decifrare.
Qual è l’alfabeto dal quale nasce il linguaggio dell’anima? Quali le particelle linguistiche più piccole alle quali poter fare rimando? Potremmo ritrovare importanti maestri che hanno dedicato studi, ricerche e percorsi di vita a questo arcano… e ciascuno di loro costringerebbe a ricercare ogni granello in ciò che va oltre il personale, la materia e l’apparenza.
Platone parlava, e lo faceva oltre duemila anni fa, di Archetipi, o Idee, come delle pietre fondanti l’interiorità dell’Uomo. La moderna psicologia riscopre questi “grafismi” nella capacità, tutta umana, di attraversare ciò che conscio non è, usando l’immagine, la “imagos” meglio definita da Jung, il “modello ideale” secondo la terminologia della psicologia transpersonale, quell’essere dimorante fuori dal piano percettivo al quale fa riferimento la ricca vita fantasmatica di ciascuno di noi.
Pensiamo al potere dei ricordi: positivi o negativi che siano, questi si risvegliano in noi con il potere di immagini che, come nei sogni, ci trasportano con irruenza dentro un’esperienza, una sensazione, un vissuto. Sono le “immagini” interiori che si trasformano in pensieri, in timori, paure, insicurezze, blocchi psicologici così come in intuizioni, ispirazioni, propositività e voglia di fare.
Viaggiare dentro le immagini racchiuse nella propria interiorità ha rappresentato per tanti ricercatori dell’anima un’avventura della quale non si può fare a meno, un’avventura che giustifica la vita, motiva l’esistenza, rende più coscienti di quello che si pensa, si sente e si fa.
L’alfabeto dell’anima costruisce simboli, scenari, cromatismi che ciascun Uomo può ritrovare in sé e nelle proprie gestualità, nelle parole che usa o in quelle che non usa, nei pensieri che genera e che sente riecheggiare intimamente. È una ricchezza che appartiene al singolo e che, al contempo, ciascun Uomo compartisce col Mondo, se solo pensiamo a quanto di comune c’è in tal senso…
Riportare tali ricchezze in superficie è un altro importante passo verso la congruenza e la veridicità personale: tutta la sensorialità, l’emozionalità, le intuizioni che dimorano dentro non possono non giovarsi della luce, rimanere imprigionate dentro le sbarre del conformismo e dell’incomunicabilità. Hanno bisogno di trovare interpretazione adoperando i “linguaggi” variegati dell’immaginazione e della creatività. La storia, il passato ne sono pieni, così come lo siamo stati anche noi in quell’età particolare che è l’infanzia: spazi creativi fatti di parole, di colori, di riflessioni, di ombre e di luce che traducevano in forme definite l’indefinibile linguaggio della profondità.
I più bei versi poetici sono nati dalla vibrazione sincera di anime che hanno incontrato quella profondità; i più bei quadri dipinti con i colori dell’emozione e dell’ispirazione; le più belle danze dal movimento delle ali invisibili di quella stessa anima; le più belle riflessioni filosofiche dal confronto autentico con la parte più imponente di sé stessi, la più accattivante!
Ogni momento della propria vita può diventare teatro per questa vitalità. La vita diventa arte quando ogni cosa che nasce dalle proprie mani e dalla propria lingua ne riflette le intenzioni autentiche, senza il velo dell’abitudine e dell’ipocrisia.
Ci sarà forse bisogno di “giocare” pienamente con i colori della vita, provando a riscattarli; di recuperare anche le parole che riescono a spiegare i movimenti sottili di questa intima parte di noi.
Purtroppo, la nostra società rischia di perdere gli strumenti: la parola si assottiglia, il vocabolario si minimizza e con un solo termine si pretende di dare spazio alle innumerevoli ricchezze della profondità, così come i pennelli vedono seccare le loro setole. Si parla tanto spesso di “amore”, ma quante sfumature di questo sentimento si perdono quando non lo si guarda da vicino. Si fa sempre più fatica a trovare le “parole adatte” a definire un sentimento, un’emozione, un’ispirazione. Ben più facile descrivere un luogo o un oggetto… almeno questi non coinvolgono noi stessi! La parola che ha fatto poesia si sta spegnendo, come i colori che hanno fatto arte.
Eppure, il “gioco” potrebbe riuscire a colorare diversamente la vita, reintegrando lo spazio vuoto tra noi e ciò che piace chiamare “anima”… occorrerebbe solo apprendere le regole e poi vivere la vita stessa con la gioia di un giocatore che ha imparato a vincere.