Antonello da Messina

Si è conclusa da poco la mostra alle Scuderie del Quirinale che ha riunito, per la prima volta, quasi tutte le opere di Antonello da Messina, uno dei grandi maestri del Quattrocento e di tutta la storia dell’arte.
La mostra è stata un evento unico, probabilmente irripetibile, e gli occhi di chi l’ha visitata sono ancora pieni di tanta semplice bellezza.
Su Antonello da Messina pochissime sono le notizie biografiche certe: nato nel 1430-31, morì nel 1479. Tra il 1475 ed 1476 soggiornò a Venezia.
Il disastroso terremoto che, il 28 dicembre 1908, rase al suolo la città di Messina, distrusse anche molte opere di Antonello e gli archivi dove erano custoditi documenti importanti relativi alla sua vita.
Possiamo solo immaginare la ricchezza, i traffici, la cultura, la fondamentale importanza strategica e commerciale di Messina nel Quattrocento. Fu una città che volle sempre conservare la sua indipendenza e avere una posizione nodale in quel grande crogiolo e luogo d’incontro di civiltà che era il bacino del Mediterraneo.
Infatti, qualsiasi viaggio via mare faceva scalo a Messina. La città era, ad esempio, una tappa obbligata della cosiddetta “muda de Fiandra”, il servizio regolare di galee veneziane che, due volte l’anno, andava verso Bruges e Londra e si fermava nella città siciliana per rifornimenti.
A Messina era, dunque, naturale conoscere quel che avveniva, a livello culturale ed artistico in particolare a Venezia, in Provenza e nelle Fiandre; inoltre, trovandosi la città all’interno del Regno aragonese, si conosceva bene anche ciò che avveniva tra Barcellona, la Catalogna e Valenza.
Antonello nasce e cresce in questo clima di grande fervore. Si trasferisce a Napoli per compiere la sua formazione sotto Antonio Colantonio, il maggior pittore napoletano dell’epoca.
Quasi tutte le sue opere oggi note si collocano nell’ultimo decennio della sua vita, per cui è molto difficile ricostruire il suo percorso artistico: gli unici legami certi sono quello giovanile con Colantonio e quello, risalente agli anni 1475-1476, con Giovanni Bellini a Venezia.
Nella pittura di Antonello da Messina mondo nord-europeo e italiano non sono mai slegati; anzi, trovano un meraviglioso equilibrio nelle sue opere: cioè, se da un lato egli cerca di sintetizzare cogliendo e rappresentando solo i fatti più significativi, dall’altro non riesce a fare a meno di notare certi dettagli e di calarli all’interno dell’opera
Lo fa soprattutto nei ritratti. Rifacendosi ai modelli fiamminghi, Antonello dipinge tavolette piccole - portatili, diremmo - con i personaggi ritratti di tre quarti e non più di profilo, com’era uso fino a poco tempo prima, quando la classe dominante era essenzialmente nobile; ora ha preso piede prepotentemente una nuova categoria di persone, l’alta borghesia, costituita soprattutto da mercanti e banchieri, i quali commissionano ritratti autocelebrativi sì, ma meno freddi e distaccati di quelli nobiliari.
Ciò che più colpisce, nei ritratti di Antonello, oltre alla notevole capacità di cogliere i dettagli (anche quando si tratta di difetti) e di farne una caratteristica unica del singolo personaggio, è quel filo di ironia che li percorre un po’ tutti. La sua è una bella galleria di tipi umani (dal “Baruni” di Cefalù al ritratto “Borghese” passando per il ritratto d’uomo detto “Trivulzio”) che riescono a coinvolgere lo spettatore ed a portarlo nel proprio mondo: sguardi e sorrisi non comuni, altezzosi, strafottenti o semplicemente ironici, che rappresentano quasi una sfida di intelligenza tra chi osserva e chi è osservato.
Per un uomo ironico e tagliente, com’è immaginabile che fosse Antonello, il problema del coinvolgimento dello spettatore diviene sempre più urgente quando deve affrontare il tema sacro. In questa chiave si legge quell’invenzione straordinaria e rivoluzionaria che è l’Annunciata, dove lo spettatore è posto nel punto di vista, e quasi nelle vesti, dell’angelo. La tavola, il leggìo, la mano protesa, riflettono sul volto la luce che scende dall’alto, attenuandone l’intensità e permettendo così alla forma del volto e del velo di assumere una regolarità quasi geometrica.
A Venezia, la fortuna di Antonello ritrattista fu notevole; ma anche il resto della sua produzione fu molto apprezzato. Fu il palcoscenico veneziano a consentire all’artista di affermarsi come uno dei geni assoluti del Quattrocento italiano: senza quelle casse di risonanza la sua fama sarebbe rimasta probabilmente più circoscritta e localizzata.