Kandinskij e l’astrattismo

Seconda Parte

La scelta di Kandinskij di intraprendere un cammino che rappresentasse la nuova avanguardia artistica e, nel contempo, l’inizio di un’ epoca all’insegna di una nuova e dichiarata spiritualità, fu in parte motivata, come abbiamo visto, dal clima culturale in cui egli visse nei primi anni del Novecento, a cui il grande pittore russo aggiunse il sogno di un’arte rivolta all’interiorità e alla dimensione profonda dell’io.
«Così nell’arte viene gradualmente sempre più in primo piano l’elemento dell’astratto [...]

ed è un predominio naturale», scrisse Kandinskij nel suo libro “Lo spirituale nell’arte”. La forma astratta supera dunque quella imitativa e naturalistica perché contiene quello che egli stesso definì il “suono interiore”.
Il suono è la corrispondenza di una forma con la musicalità dell’intero universo, idea peraltro ripresa dal pensiero teosofico: la vibrazione universale è infatti il principio cosmico insito nella natura e nell’anima.
L’arte non aveva per Kandinskij solo il fine di accordare in maniera decorativa la bellezza del colore con quella della forma naturalistica. Esisteva un traguardo ancora più difficile da raggiungere per un artista: educare l’anima oltre la realtà finita dello sguardo, verso l’ascolto di quell’armonia interiore fondata sul concetto di composizione, intesa come un insieme di colori e linee indipendenti da una forma fisica.
D’altra parte il concetto di un’autonomia assoluta dell’arte e della libertà espressiva dell’artista, veniva in quegli anni riaffermato anche dal filosofo Wilhem Worringer nel suo libro “Astrazione ed empatia”, che fu il testo attorno a cui i pittori del Cavaliere Azzurro discutevano e riflettevano insieme.
Kandinskij trasse, però, le sue conclusioni da un altro filosofo, Theodor Lipps, maestro di Worringer ed ispiratore dei principi teosofici contenuti nelle sue opere: “astrarre” non significava allontanarsi dalla realtà, come definiva Worringer, ma al contrario immergersi dentro di essa, fino ad arrivare all’io più profondo, ovvero la realtà interiore, l’unica dimensione che interessava al grande pittore russo.
Nella creazione di una composizione l’artista doveva trovare la propria vibrazione in accordo con l’intero universo e col proprio sentire per poi lasciare che questa comunicazione filtrasse dall’opera allo spettatore.
Il valore simbolico che Kandinskij attribuì al colore e alle pure forme geometriche fu proprio l’espressione di una libertà creativa che aveva come oggetti delle realtà certamente infinite e immateriali.
Egli si dedicò allo studio dei colori volendo esprimere la loro essenza più profonda: essi non sono soltanto una superficie materica ma una vibrazione che l’artista deve sentire.
Il giallo, come il rosso o l’arancio, diviene simbolo dell’energia irradiante che si esprime al meglio nella forma acuta del triangolo; il verde che rappresenta la quiete viene racchiuso nella forma quadrata, al contrario del blu, che, in quanto espressione di profondità, predilige la forma rotonda del cerchio, ponendo ad esso, come a tutti gli altri colori, un limite che non hanno, essendo un concetto infinito.
La pittura di Kandinskij esprime così la straordinaria sensibilità di un’artista che certamente possedeva la qualità di percepire subito queste equivalenze di forma e colore.
Nascerà così l’infinito linguaggio di forme e colori puri che ancora oggi è fonte di ispirazione per tutti gli artisti che ancora sperimentano «l’antichissima fede nei colori» come scrisse il pittore amico di Kandinskij, Franz Marc. «[...] Attraverso il superamento della sensorialità e della materia», come egli continua, il colore puro in armonia con la forma condurrà l’uomo all’unico grande principio interiore che abbia ispirato l’arte di Kandinskij e tutta la pittura astratta: la necessità di un’efficace contatto con l’anima.