Numero 05
Michelangelo e la Sagrestia Nuova di S. Lorenzo
L’incarico di costruire la Sagrestia Nuova di S. Lorenzo a Firenze fu affidato a Michelangelo da Leone X nel 1519. Inizialmente destinata ad accogliere sei tombe medicee, essa venne in seguito dedicata a Lorenzo e Giuliano de’ Medici e fu realizzata dall’artista dal 1524 al 1526.
Negli anni della sua maturità artistica, completata la Volta della Sistina ed in attesa di realizzare il Giudizio Universale, il Buonarroti tornò dunque a Firenze per dedicarsi all’arte scultorea ed all’architettura, mirabilmente unificate nella creazione dei due monumenti funebri.
Di certo essi rappresentano la vastità, nonché la complessità, del genio michelangiolesco, che non solo non ebbe limiti nell’esercizio delle arti, ma affrontò anche temi dal profondo significato spirituale.
La formazione culturale giovanile di Michelangelo, infatti, compiuta alla corte di Lorenzo il Magnifico, fu caratterizzata dallo studio dell’alchimia, a quel tempo divulgata da Marsilio Ficino.
La conoscenza della simbologia alchemica è d’altra parte confermata da alcuni versi che il genio compose: “I’ sto rinchiuso... come spirto in un’ampolla...” ed anche “Sol pur col foco il fabbro il ferro stende / al concetto suo caro e bel lavoro / né senza foco alcun artista l’oro / al sommo grado suo raffina e rende”.
L’idea dell’anima racchiusa in un’ampolla è un richiamo evidente al vaso alchemico dentro cui viene a realizzarsi l’opera di trasformazione e raffinazione della materia, che dallo stato grezzo iniziale, evolve nel metallo oro e nella luce di sapienza che segna il ritorno all’Armonia.
Viene in tal modo a delinearsi una più approfondita ed esauriente chiave di lettura delle opere del Buonarroti, la cui iconografia non sembra esaurirsi nell’osservazione estetica della forma scultorea.
Nella costruzione della Sagrestia Nuova Michelangelo racchiuse, infatti, schemi ispirati ad antichi trattati di cabala e alchimia: la cupola, come una rappresentazione dell’universo, è affiancata da quattro tondi, che simboleggiano i quattro elementi, posti attorno al cerchio dello zodiaco.
Le due coppie di sculture allegoriche il Giorno e la Notte, e l’Alba ed il Crepuscolo, che egli pose al di sotto delle figure dei due Medici, sono rispettivamente la raffigurazione della coppia di “opposti” e della coppia di “affini”, simboli dell’unione dei contrari e dei princìpi maschile e femminile.
Per l’iconografia della Notte, in particolar modo, il Buonarroti si ispirò certamente alla celebre Melancolia, incisa nel 1514 dal Dürer, e raffigurata con il volto di una donna che appoggia il capo alla mano in atteggiamento meditativo e nel contempo cupo e sofferente. Tale immagine simboleggia uno dei quattro umori, la malinconia, che caratterizza l’inizio del percorso di risalita spirituale dell’anima.
Il Giorno, contrapposto energicamente alla Notte, con le spalle girate in segno di chiusura, rivela nel volto una delle prime manifestazioni della tecnica michelangiolesca del “non finito”, volutamente adottata dal Buonarroti per “velare” la luce del sole, che diviene in tal modo il “Sole nero”, che, nel passaggio ad uno stato luminoso, simboleggia la realizzazione dell’opera alchemica.
L’altra coppia di sculture, costituite da una figura maschile e una femminile, sembra convergere, al contrario, l’un verso l’altra, preannunciando la riunificazione dei due opposti che genera la figura dell’androgino, tanto diffusa nella storia dell’arte, che rappresenta il sublime ricongiungimento del principio maschile con quello femminile, ovvero il superamento della condizione umana di separazione per giungere ad uno stato di beatitudine celeste.