Un importante anniversario - Ricordiamo Zoltan Kodaly (1882-1967)

Zoltàn Kodàly: chi era costui?
I libri di storia della musica riportano giustamente la sua attività di compositore; così pure fanno le società concertistiche nel compilare i cartelloni degli spettacoli. Ma in Italia è ancora poco noto il suo enorme contributo a due importanti discipline: l’etnomusicologia e la didattica musicale, nate proprio con Kodàly grazie alla sua particolare filosofia dell’uomo e della vita. L’etnomusicologo e il pedagogista Kodàly hanno fatto versare fiumi di inchiostro in tutto il mondo, tante sono le innovazioni e le intuizioni da lui elaborate.

Nel quarantesimo anno dalla sua morte, cerchiamo di illustrare brevemente il suo pensiero, con la speranza di contribuire alla sua diffusione capillare anche nel nostro Paese.

Zoltàn Kodàly, ai primi del Novecento, iniziò a raccogliere e catalogare il patrimonio musicale popolare ungherese: un lavoro che svolse fino alla morte e che condusse insieme al celebre collega Béla Bartòk. Disponevano dei primi mezzi per la riproduzione del suono e quindi fu loro possibile conservare documenti registrati sul campo. Sapevano bene che la cosiddetta “musica ungherese” (per intenderci, quella che ispirò Liszt e Brahms) in realtà era musica zigana, appartenente cioè ad un gruppo etnico non autoctono, anche se significativo all’interno del tessuto sociale magiaro.
La vera musica ungherese si rivelò di sorprendente bellezza e vitalità: in questa sede sarebbe troppo lungo e complesso descriverne i caratteri; va però detto che, senza un tale lavoro certosino, forse oggi non avremmo la riforma della pedagogia musicale, che di esso è la diretta conseguenza.

La musica diritto di tutti
È stato sicuramente lo studio del canto popolare a far dire a Kodàly che la musica è di tutti, pertanto tutti hanno il diritto di esprimersi con essa; non arte per pochi fortunati dotati da Madre Natura, bensì una vera e propria lingua da apprendere fin dalla nascita per comunicare. Queste affermazioni entrate anche nei programmi scolastici italiani dovettero risultare rivoluzionarie ai tempi di Kodàly, il quale non si fermò qui, ma andò a fondo per capire quale fosse la “lingua”, anzi, la “madrelingua musicale” di un popolo e dei suoi bambini. Ancora una volta, trovò la risposta nel canto popolare, monodico e polifonico, e in tutti quei valori affettivi e culturali che vanno sotto il nome di “folklore”. In particolare, notò che lo sviluppo del linguaggio verbale e di quello musicale infantile seguono percorsi molto simili. Così, il canto popolare, che era pane quotidiano, e non solo in Ungheria, divenne l’oggetto dell’insegnamento musicale nelle scuole.

Il cammino educativo
A questo punto, si poneva il problema dell’itinerario di studio vero e proprio: con quali mezzi portare all’apprendimento della musica in maniera naturale e graduale, proprio come avviene con la lingua materna? Abbiamo tutti imparato a parlare ascoltando gli adulti e memorizzando parole e strutture sintattiche; verso i sei anni arrivano i primi stimoli alla lettura e alla scrittura. Quindi l’acquisizione delle cosiddette “abilità di base” (ascoltare, parlare, leggere e scrivere) avviene in due momenti diversi, che Kodàly identifica nell’apprendimento per imitazione e in quello per lettura progressiva. Anche le strutture musicali s’imparano l’una dopo l’altra: dapprima cellule ritmiche di uno-due elementi ripetuti, in seguito altre più complesse. Analogamente, il senso melodico si forma a partire da due o tre suoni fino a giungere all’uso delle scale pentafoniche (una costante nel folklore musicale ungherese) e solo successivamente matura la sensibilità tonale con l’attribuzione di una funzione per ciascun suono della scala maggiore o minore, insegnate mediante il recupero del solfeggio cantato antico (solmisazione).
Studi successivi hanno dimostrato la verità di quanto affermato da Kodàly: non solo gli Ungheresi, ma praticamente tutto il genere umano elabora siffatti pensieri musicali, tanto da far parlare di una “radice musicale comune” analoga a quella linguistica. L’insegnamento della musica deve, dunque, avvenire nel rispetto di queste tappe di apprendimento. Le numerose antologie di canti e le raccolte di esercizi scritte da Kodàly e dai suoi allievi (ben presto assai numerosi in varie parti del mondo) seguono questo iter didattico, integrato da sillabe-funzione per identificare i ritmi e da gesti delle mani (chironomia) per il riconoscimento delle note.

...ma bisogna anche saper insegnare
La riforma kodàlyana, qui sinteticamente esposta per ragioni di spazio, è alla base dei programmi musicali nelle scuole ungheresi di ogni ordine e grado. Ma anche altri Paesi l’hanno adottata, operando gli opportuni adattamenti per quanto riguarda il canto popolare.
Il “Metodo Kodàly” spinge alla ricerca di materiale sonoro, non solo in ambito folklorico, ma anche nel repertorio classico e negli altri generi musicali. L’insegnante che segue questo metodo è coinvolgente e creativo, inventa e fa inventare giochi e musiche nuovi, si preoccupa del benessere dei suoi allievi, li rende autonomi e li sa interessare con argomenti di qualità. Insegnare seguendo il pensiero kodàlyano è molto impegnativo, ma i risultati sono positivi e le lezioni sempre divertenti. È un metodo che viene applicato anche con i cori polifonici e, in generale, può essere adattato a tutte le fasce d’età. Un metodo che non educa meccanicamente, ma forma persone equilibrate e libere, come del resto affermava lo stesso Kodàly: «Le caratteristiche di un buon musicista sono: un orecchio, una mente, un cuore e una mano ben esercitati. Tutti e quattro devono svilupparsi insieme in costante equilibrio».