Quei giovani del 1300... 20 luglio 1304: nasce Francesco Petrarca

Caro Lettore,
se ti chiedessero quanti giovani, oggi, accorrerebbero ad una conferenza su antiche civiltà cosa risponderesti?
Una lettera del ‘400, ricorda come, un giorno, a Ferrara, ad ascoltare le dotte dissertazioni del famoso maestro Guarino “si precipitò ad ascoltarlo una folla immensa, non solo di ragazzi e di giovani, ma anche di adulti”.
Fa impressione quel “non solo” riferito ai giovani ed il “ma anche” riferito agli adulti perché è proprio tutto l’opposto di quanto avverrebbe oggi!
A quel tempo erano i giovani ad amare la cultura e a chiedersi come cambiare il mondo...
Una gran bella generazione...
Uno di questi giovani fu Francesco Petrarca.
Il 1304 sembra proprio la data giusta per la nascita di uno dei portabandiera di quelle generazioni che seppero cambiare la cultura europea.
Il mondo medievale era ormai tramontato quasi del tutto ed occorreva un radicale cambiamento.
Già da due secoli l’Europa, con le Crociate, stava vivendo lo scontro con il mondo arabo, ma anche il confronto con questa civiltà. L’Europa stava uscendo dal suo isolamento di povertà economica e culturale ed iniziava un cammino ascensionale che l’avrebbe portata a governare il mondo.
Inoltre, i due poteri, imperiale ed ecclesiastico, che avevano retto l’Europa dalla caduta di Roma, erano in difficoltà: la Chiesa doveva preoccuparsi delle eresie, mentre il potere imperiale aveva subito l’umiliazione della sconfitta da parte dei piccoli Comuni italiani.
Erano poteri logori tanto che mangiavano i loro stessi figli, come accadde nello sterminio dei Templari - nel 1307 -, figli della Chiesa e dell’Impero.
Un altro clamoroso evento - del 1309 - fu la deportazione del papato in Francia che sarebbe durata fino al 1377.
1304, 1307, 1309: ad inizio del Trecento si sente imperiosa la voglia di cambiare; all’inizio del nuovo secolo si spazza l’antico e si costruisce il nuovo...
Francesco nasce da una famiglia agiata che si trasferisce ad Avignone, in Francia, al seguito della corte papale.
Come spesso accade a molti artisti in lotta contro i genitori che li spingono solo ad avere una “posizione” nella vita, anche Francesco deve rispettare la volontà del padre, notaio. Così, con suo fratello Gherardo, finisce a Bologna a studiare diritto. Ma gli studi non sono brillanti perché preferisce la cultura.
Il destino, però, ha già stabilito diversamente. Il padre muore quando Francesco ha 22 anni e suo fratello 19. Devono tornare ad Avignone e iniziare a lavorare.
Per fortuna Francesco riesce a prendere il posto del padre presso la corte pontificia e ciò gli consente di tuffarsi negli studi.
Si trova in un ambiente adatto perché è ad un passo dalla Provenza, terra della lirica cortese, e vicino le ricchissime biblioteche dei monasteri francesi e delle Fiandre.
Ma sono anche gli anni della giovinezza e delle sue leggi e Francesco non si priva certo di una vita elegante, di passioni amorose ed avventure galanti...
I suoi primi quarant’anni sono sospesi fra la giovanile presa dei voti (solo degli ordini minori) e i due figli avuti da relazioni effimere (il maschio gli morirà giovane e la femmina sarà la consolazione della sua vecchiaia).
Il 6 aprile del 1327, un Venerdì Santo, vede per la prima volta la sua Laura che, diverrà la sua Dama ispiratrice, come era stata Beatrice per Dante.
Vive in una frenetica ricerca nelle biblioteche europee a scoprire i tesori sepolti dalla polvere: il Pro Archia e le Epistole ad Attico di Cicerone.
A 33 anni arriva finalmente a Roma e resta affascinato dalla sua antica anima che aleggia ancora fra i ruderi.
Ormai è un letterato famoso, tanto che Parigi e Roma se lo contendono per acclamarlo Poeta. L’8 aprile del 1341 è incoronato Poeta in Campidoglio. Proprio sul Campidoglio sembra rinato un nuovo figlio di Roma.

Il destino lo guida alla sua strada...
Il 1343 è l’anno della svolta: Gherardo si fa monaco e ciò spinge Francesco a rivedere la sua vita fino ad allora così presa dalla mondanità. In realtà, già da tempo, andava riflettendo sulle vanità del mondo; ora, la scelta di vita del fratello lo costringe a nuovi tormentosi ripensamenti. La seconda parte della sua vita è accompagnata da profondi cambiamenti. Comprende che deve fare una scelta di fondo; comprende che la cultura ha una doppia anima: da una parte è una sirena ammaliatrice che rende famosi, pieni di elogi e ricchezze, ma dall’altra è anche una musa ispiratrice che spinge a cercare dentro di sé risposte e, trovatele, obbliga ad essere coerenti con esse.
Il destino lo incalza...
La terribile peste del 1348 gli porta via la sua Laura e molti amici.
Il 1350 è un altro anno di svolta; quasi cinquantenne, conosce quello che sarà il suo amico carissimo fino al termine della vita: Giovanni Boccaccio, di quasi dieci anni più giovane.
Due generazioni si cercano, si stimano, si proiettano alla costruzione del futuro. Un misterioso legame li ha fatti incontrare e li tiene uniti in un’amicizia salda, piena di reciproco rispetto e devozione, un vero rapporto di maestro e discepolo. Boccaccio diverrà il più assiduo diffusore della ricerca di Francesco.
È proprio il più giovane Boccaccio a spronare Francesco a considerare l’esperienza di Dante che aveva portato la lingua italiana dal ristretto ambito della lirica amorosa, in cui era relegata come genere minore, all’altezza della lirica sacra ed ispiratrice di profondi valori etici.
Così la grande stagione di luce rinascimentale ha i suoi tre padri fondatori: Dante che squarcia le tenebre della povertà culturale italiana; Petrarca lo studioso infaticabile; Boccaccio il diffusore instancabile dei primi due.
Nel 1353 lascia definitivamente la terra straniera e si stabilisce a Milano, ospite di Giovani Visconti. Viaggerà, instancabile, per l’Italia.
La schiera dei suoi discepoli cresce costantemente, sia in Italia sia in Europa. È ormai un faro, un punto di riferimento vivente, un Maestro.
Giunge la notte del 19 luglio del 1374, l’ultima, un giorno prima del settantesimo anno.
La leggenda racconta che muore sulle amatissime pagine virgiliane: la giusta fine; come per un guerriero è quella di morire sul campo di battaglia.

Petrarca filosofo
Ci sono varie chiavi di lettura dell’opera e della vita di Petrarca. Si può parlare del Petrarca letterato; del Petrarca e della sua Laura; del Petrarca combattuto fra l’essere e l’avere, in bilico fra l’idea medievale di peccato e quella rinascimentale di redenzione; di un Petrarca proteso verso il mondo classico, fra passato e presente.
Qui vogliamo parlare di un Petrarca filosofo. Vorremmo mettere in evidenza non tanto la sua produzione letteraria più famosa quanto la più nascosta ed umile opera di traduzione e di ricercatore di testi, perché questa rivela aspetti poderosi.
In questa veste non è un freddo traduttore di pagine latine, ma un appassionato ed incantato ammiratore di antiche vite di uomini che alla sua vista appaiono eroi. Una trasfigurazione come quelle che vive il prode don Chisciotte. Osando, sembra un moderno ragazzino che sogna con la sua raccolta di figurine...
I Grandi del passato passano davanti agli occhi della sua immaginazione e ne percepisce le vibrazioni dell’anima. Scipione, Cesare, Virgilio, Augusto, Livio, Orazio, Marco Aurelio non sono per lui solo personaggi storici, ma quasi suoi amici che gli parlano, che lo incitano.
Petrarca è divorato da una febbre di ammirazione per un passato scomparso solo agli occhi, ma non alle anime che cercano. Mentre legge le gesta di quegli avi ne sente le Anime. Le confronta con la sua; ricerca dentro di sé; perciò è un filosofo.
È il primo ad intuire che la vera Cultura deve trasformare l’anima verso un nuovo stile di vita che, con coerenza, porti l’uomo istruito non a baloccarsi con le sua acrobazie intellettuali, ma a meditare su se stesso e a ricercare la Verità; e cos’è la Verità se non Dio stesso. Dunque la Conoscenza come strumento per ascesi interiore. Per questo Petrarca è anche un filosofo.

Il messaggio filosofico profondo di Petrarca a noi moderni, in bilico tra un passato di fallimenti ed un futuro molto incerto, è che è inutile ed infruttifero pensare e progettare un futuro mondiale dell’Umanità senza un precedente recupero dei valori umani più profondi.
Non esiste un futuro fine a se stesso e che si autoalimenti, come abbiamo creduto per secoli, sospinti dall’incessante ansia di progresso. Oggi cominciamo a renderci conto che questo progresso infinito è solo materiale e non ha migliorato di un millesimo la qualità degli esseri umani.
Occorre recuperare il vero senso della vita umana e questo lo si può fare, insegna il Rinascimento (e lo insegna anche quell’ancora più antico rinascimento che fu l’epopea augustea) che solo recuperando i valori umani più profondi è possibile progettare un Nuovo Futuro.
Augusto dette altri secoli a Roma...
Gli Umanisti hanno dato nuovi secoli all’Europa...
Se vogliamo dare nuovi secoli all’Umanità di oggi dobbiamo recuperare la sottile ma insistente Voce che viene da lontano.

Perché ricordare il passato e gli avi, come ha fatto incessantemente Petrarca?
E’ solo una doverosa commemorazione?
Non solo. È soprattutto capire come hanno affrontato le esperienze che sono toccate loro, dove hanno trovato buone soluzioni e dove, invece, hanno sbagliato.
La storia è maestra di vita, ricordava Cicerone.
Petrarca capisce che il Tempo è solo un’illusione che ci fa apparire le cose in modo distorto. Le scelte dei nostri avi si rivelano ancora vive, così come vive sono ancora le loro domande, perché le ansie umane restano immutate. Non capire che chi ci ha preceduto può dare una risposta buona anche a noi significa solo perdere tempo; significa che ogni generazione è costretta a ricominciare tutto da capo, perdendo tempo prezioso, perché, quando sarà arrivata a dare una risposta alla vita, sarà giunto anche il momento di lasciarla...
Certo, anche i nostri avi hanno commesso gravi errori; ma ‘progresso’ non significa far tesoro anche degli errori commessi?
Insomma fidarsi di chi ci ha preceduto significa risparmiare tempo ed energie ed arrivare ad avere, a vent’anni, le risposte giuste per seguire la pista giusta. Significa avere, fin dalla più giovane età, la possibilità di progettare pensieri immensi, insomma di creare civiltà come seppero fare i giovani umanisti di sette secoli fa.
Se i giovani di oggi avessero questa possibilità potrebbero progettare una vera Nuova Umanità.
I nostri giovani vorrebbero una vita nuova, ma le risposte devono essere cercate nel passato. Sembra un controsenso, eppure è una legge della Vita che gli Umanisti capirono e noi abbiamo dimenticato.
I giovani di sette secoli fa vedevano il loro nuovo orizzonte...
Sarebbe tempo che nuovi Uomini pensassero ad elargire a piene mani...

Per la crescita dell’Umanità hanno fatto più Petrarca ed i suoi discepoli rinascimentali che noi moderni, che pure avremmo ben altri mezzi...
Anche il nostro bilancio statale deve riconoscenza a questi grandi, visto che l’Italia si sorregge ospitando turisti...
Ci sono generazioni che amano e ciò che hanno lo diffondono a piene mani e ci sono generazione che, come gli uccellini nel nido, non sanno fare altro che aspettare il mangiare...
Generazioni di giganti e generazioni di nani.

Dove sia giunta la sua Anima nelle sue meditazioni nessuno lo potrà mai dire né bastano i suoi scritti a farcelo intuire; ogni uomo se ne va con il segreto della sua vita. Resta il messaggio lasciato ai suoi contemporanei, altri giovani che, come lui, erano protesi nello sforzo di costruire un nuovo mondo. Ci riuscirono... fu il Rinascimento italiano ed europeo.