Dalla media generation alla networked generation

Prof. Alberto Marinelli: Docente di "Teoria e Tecnica dei nuovi Media" della Facoltà di cienze della Comunicazione dell'Università "La Sapienza" di Roma.

Il novecento è stato un secolo di grande inclusione, e l'inclusione si è consumata sia sul lato dell'alfabetizzazione - scuola, tecnologie della scrittura e della lettura - sia sul lato delle tecnologie del suono e della visione - grandi mass media come il cinema, la radio, la televisione. La scuola - almeno in Italia - si è accontentata di gestire, in regime quasi monopolistico, la parte "alfabetizzata" delle generazioni che si succedevano, ma ha sempre considerato con sospetto ed ha spesso sospinto verso i margini le nuove forme mediali: prima il cinema, la radio, i fumetti; poi la televisione, i videogiochi, il world wide web.

Ne ha temuto, oltre ogni ragionevole limite, il potere concorrenziale, la pervasività, la capacità di intercettare attenzione e passione da parte delle generazioni più giovani. In qualche caso si è fatta portavoce della richiesta di "spegnere" gli schermi: ieri quello della tv (e della playstation che spesso vi è connessa), oggi quello del personal computer (che è confinato in una sorta di limbo solo perché conserva un alone di carattere "formativo"), domani quello del telefonino di nuova generazione (di cui si cominciano a temere gli sviluppi in direzione del gioco e dei formati di intrattenimento, come la musica e i videoclip, o l’eccessivo impiego di SMS).
Tenuti rigorosamente al di fuori dei confini del territorio "alfabetizzato" (con la sola eccezione dei corsi di laurea in Scienze della comunicazione e, in misura diversa, dei DAMS), i grandi media si sono ritrovati al centro dell’arena pubblica, additati come imputati, al di là dei loro oggettivi demeriti, di una quantità infinita (e inverosimile) di "mali": dell’affievolimento dei valori fondanti della collettività; del "rimbambimento" (progressivo decadimento delle funzioni cerebrali) derivante da una overdose di consumi (di tv, di musica, di videogiochi); della perdita di abilità psicomotorie da parte di generazioni sempre più immobili davanti agli schermi e, addirittura, dell’ottundimento delle capacità critiche poste a presidio del nostro sistema democratico.
Ma il lavoro di ricerca condotto sui consumi culturali giovanili e sull’impiego del tempo libero non sembra confermare alcuni luoghi comuni. Nel gestire il "palinsesto" degli appuntamenti che struttura il tempo libero, la generazione più giovane si mostra più consapevole e matura delle precedenti. Sembra, infatti, perfettamente in grado di assegnare, se ben sorretta da una capacità propositiva dell’ambiente familiare, pesi (tempi) e funzioni specifiche alle varie occasioni di socializzazione di cui può disporre e si muove, senza soluzione di continuità, tra "eventi mediali" e "eventi reali": tra il telefilm e la partita di basket, tra la passeggiata con gli amici e la chat.
I lavori di ricerca hanno anche dimostrato che questa nuova generazione è in grado di spostare decisamente in avanti la frontiera delle tecnologie con cui impara a dialogare. I nuovi media diventano il baricentro verso cui si stanno orientando le traiettorie individuali e di gruppo, alla ricerca di una interattività che possa rappresentare un salto di qualità e di autonoma creatività sia rispetto alla produzione e alla fruizione di contenuti sia rispetto alle forme di aggregazione sociale. In particolare, le tecnologie di rete consentono di sperimentare il processo di costruzione del sé in quanto "networked self": una identità che si mette costantemente alla prova nelle interazioni comunicative tra soggetti rese possibili dalla nuove forme di mediazione tecnologica (chat, forum, newsgroup, e-mail, instant messaging, etc.).
L’attuale media generation è dunque destinata a portare avanti la sperimentazione di quella nuova forma sociale che Manuel Castells definisce networked individualism: non la semplice sommatoria di soggettività isolate ma la presa d’atto della possibilità offerta agli individui, nella società postmoderna, di ridisegnare costantemente la propria identità lavorando alla costruzione di networks on-line e off-line, sulla base di interessi, valori, affinità e progetti condivisi, seppur attraverso momentanee attualizzazioni che possono sempre essere rimesse in discussione. L’abilità nel passare, senza soluzione di continuità, tra on-line e off-line e la disponibilità alla sperimentazione collettiva consente di impiegare l’espressione networked generation per descrivere il nucleo più innovativo delle esperienze comunicative e di interazione sociale che i ragazzi stanno costruendo.
Ovviamente, le opportunità di sperimentare tutte le differenti forme di socializzazione (on-line e off-line) sono offerte ad una parte ancora ridotta della popolazione giovanile; è però altrettanto evidente che la tendenza evolutiva porterà in tempi sufficientemente rapidi la grande maggioranza dei ragazzi a confrontarsi con queste possibilità. La direzione di marcia sembra dunque indicare una progressiva evoluzione della media generation in networked generation, con uno spostamento del baricentro dell’attenzione dalla semplice differenziazione e pluralizzazione dei consumi mediali verso la definizione di nuove forme di autonomo protagonismo nell’universo della comunicazione digitale.