I tredici obelischi della città di Roma

Gli obelischi sono pilastri di pietra molto alti, con quattro facce uguali e che terminano con una punta piramidale allungata. Questi monoliti erano molto in uso tra gli antichi egiziani ed erano ricoperti da iscrizioni in geroglifici alcune delle quali occultavano importanti segreti e rappresentavano i misteri della religione egizia. Quando Cambise, re dei Persi, divenne padrone dell’Egitto ordinò ai sacerdoti che gli svelassero il significato di quelle iscrizioni, ma essi si rifiutarono di obbedirgli ed egli li fece condannare a morte e distrusse tutti gli obelischi che poté.

Gli obelischi sono pilastri di pietra molto alti, con quattro facce uguali e che terminano con una punta piramidale allungata. Questi monoliti erano molto in uso tra gli antichi egiziani ed erano ricoperti da iscrizioni in geroglifici alcune delle quali occultavano importanti segreti e rappresentavano i misteri della religione egizia. Quando Cambise, re dei Persi, divenne padrone dell’Egitto ordinò ai sacerdoti che gli svelassero il significato di quelle iscrizioni, ma essi si rifiutarono di obbedirgli ed egli li fece condannare a morte e distrusse tutti gli obelischi che poté. Questi monumenti erano in relazione con il culto del Sole e per questo motivo i sacerdoti li chiamavano “le dita” di quell’astro. Gli obelischi sono stati venerati come simbolo del Dio itifallico Amon, il procreatore.
I quattro lati dell’obelisco rappresentano i quattro punti cardinali ed i loro rispettivi reggenti o Maharajah.
Il significato più profondo di questi monoliti si va perdendo nel tempo lasciando il posto solo a quello più appariscente: la potenza del potere politico; per questo i grandi di tutti i tempi depredarono sistematicamente la terra d’Egitto dei suoi simboli; già gli Assiri, al tempo di Assurbanipal si gloriavano di essersi portati via due obelischi per erigerli in Ninive. I Romani, in epoche differenti, ne portarono via molti e li distribuirono nelle varie parti dell’Impero, soprattutto in Roma, a simbolo della gloria degli imperatori o alla memoria di persone molto amate in vita; nel Medio Evo si erigono di nuovo dissotterrandoli come simbolo della libertà e nel Rinascimento i Papi li utilizzano per adornare la città e come testimonianza della loro gloria.

In Roma rimangono ancora oggi tredici obelischi dei molti che si trovavano nell’antica città.
La prima fonte storica è Plinio (79 a.C.) il quale ne ricorda tre: due fatti erigere da Augusto nel 10 d.C. ed uno da Caligola.
Dopo ben due secoli e mezzo troviamo notizie degli obelischi nei due “Cataloghi Regionari” (inizio e metà del IV secolo d.C.); essi si dividevano in “Curiosum Urbis” e “Notitia de Regionibus”; nel primo si parla di sei obelischi e nel secondo di cinque. Arriviamo così all’anno 387 in cui lo storico Ammiano Marcellino riporta la notizia dell’obelisco del Circo Massimo eretto nel 357 d.C. Anche Cassiodoro tra il 507 e 511, in una sua lettera fa menzione dei due obelischi del Circo Massimo, ma ad essi vanno aggiunti altri tre che erano proprietà di privati o che si trovavano fuori delle mura della città.
Il “Mirabilia Urbis Romae”, testo dell’anno Mille di un Anonimo, che tratta dei monumenti storici della città di Roma e che sarà la base per tutti gli studi nei secoli futuri, viene ricordato solo l’obelisco presso la Basilica Vaticana.
Da questo momento in poi si deve arrivare alla metà del 1400 per trovare un nuovo interesse per gli obelischi. Si parla addirittura di ben quarantadue piccoli obelischi in più, ritrovati nell’area dell’Iseum e del Serapeum; in questa zona ne furono ritrovati ben sei in diverse epoche.
Nel 1500, epoca molto erudita ed interessata alle rovine dell’Urbe, Andrea Fulvio, illustre topografo romano, più precisamente nell’anno 1527, anno del Sacco di Roma, pubblica un’opera in latino “Antiquitates Urbis” e fa una rassegna degli obelischi e della loro situazione, basandosi per questo sullo studio già fatto nella prima metà del 400 dall’Anonimo Magliabechiano, dal Biondo, dal Bracciolini e dal sommo archeologo Pomponio Leto (1497).

Perché tutti gli obelischi, eccetto quello eretto nel Circo Vaticano, erano interrati o semidistrutti?
Michele Mercati dice che già dal XII secolo la questione era dibattuta e sempre si era parlato di due cause. Scartando le cause naturali quali terremoti o alluvioni delle quali non abbiamo menzione in nessuna fonte storica, si arriva alle conclusioni che o furono i pontefici per ragioni religiose o il fatto si deve imputare alle invasioni barbariche, particolarmente a quelle dei Goti.
Gregorio I che regnò tra il 590 ed il 604, fu il papa più attaccato, ma è anche vero che all’epoca ogni oggetto pubblico di Roma era di proprietà dell’imperatore che risiedeva a Costantinopoli. Egli dava autorizzazione scritta al Papa per qualsiasi lavoro: tipico esempio fu Bonifacio IV nell’anno 611 che chiedeva all’imperatore Foca di trasformare il Pantheon in una chiesa cristiana.
Per quanto riguarda le invasioni barbariche abbiamo due fonti sulle quali basarci. La prima, di carattere tecnico è Michele Mercati che fu presente alla riesumazione degli obelischi voluta da Sisto V. Egli dice che tutti furono ritrovati rotti almeno in tre parti. Il pezzo più grosso, cioè quella parte che poggiava sugli Astragali (i quattro sostegni di bronzo tra il fusto ed il basamento) era bruciato e l’altra parte resa aguzza in maniera tale che non potesse essere più drizzato. Tanto più grande era l’obelisco, tanta più cura era stata usata per rovinarlo.
La seconda fonte, questa di carattere letterario, è la storia scritta da Procopio sulla “Guerra gotica”. Si narra che la città di Roma fu danneggiata fin dalle prime tre invasioni: nel 410 da Alarico re dei Goti, nel 455 da Gianserico re dei Vandali e da qui nasce il termine “vandalismo”, e nel 472 dalle orde di Ricimero. Però è anche vero che quando Teodorico ebbe il dominio assoluto dell’Italia con il benestare di Bisanzio, fino alla sua morte avvenuta nell’anno 526, Roma godé di un periodo di prosperità dovuto al suo amore per la cultura classica, per i monumenti e per la storia della città. Teodorico, giova ricordarlo, fu circondato da uomini illustri quali Cassiodoro, Boezio e Simmaco. I restauri fatti da Teodorico portavano la frase “Roma Felix”. Dopo la sua morte Roma ritorna sotto il dominio dell’impero bizantino, regnava a Costantinopoli il grande Giustiniano. Nell’anno 537 nel mese di marzo il re dei Goti Vitige assedia Roma con un esercito di quindicimila uomini come ci riporta Procopio insieme alla notizia che Vitige fa tagliare gli undici acquedotti che per secoli avevano funzionato ed abbatte l’obelisco di Domiziano che allora era eretto fuori della città sull’Appia. La città rimane quindi in uno stato di miseria e pena inaudite, ma i Goti non riescono ad entrare. Lo faranno nell’anno 546, durante una nuova invasione, ad opera di traditori. Si racconta che Totila assediava Roma senza poterla prendere quando un gruppo di Isauri dell’esercito romano bizantino, la notte del 17 dicembre 546 apre la porta dell’Asinara presso la Basilica lateranense. Il re Totila, ariano e molto devoto a S.Pietro si reca immediatamente a pregare nella basilica di S.Pietro e solo dopo inizierà la distruzione della città. Totila demolì un terzo delle mura, spopolò la città portando in Campania la maggior parte della gente come schiavi ed i Senatori in ostaggio. Il suo andirivieni a Roma durò sei anni, ma fu soprattutto nell’anno 547 che la sua furia si abbatté sugli obelischi distruggendoli in pezzi e scalpellandoli.
Si dovrà attendere l’anno 1404 perché gli obelischi possano rivedere la luce e riprendere la loro posizione nella città eterna.
Sarà Sisto V, il secolo dopo, che con il suo programma urbanistico-religioso inizierà ad utilizzare la maggior parte di essi.

(Prosegue nel prossimo numero)