Il vento fa il suo giro (di Giorgio Diritti)

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La storia di Chersogno, sulle Alpi Cozie, è quella di tanti altri borghi di montagna, non solo sull’arco alpino, non solo in Italia: i disagi, il clima, la scarsità di servizi e di lavoro allontanano la popolazione più giovane, che si rifà una vita in città, o più lontano, e al massimo torna per le feste. La sopravvivenza e la memoria restano così in mano ad un pugno d’uomini, in buona parte anziani, in bilico tra un futuro geograficamente lontano ed i resti di un tempo che fu.
Tra quelle montagne immobili, antiche, che stagionalmente ricordano a chi le abita il loro potere, la loro forza, si è facilmente tentati di dimenticare lo scorrere del tempo, di far congelare un giorno, o un istante, e lasciarlo ripetere all’infinito. Viene sempre il momento, però, in cui alla porta si presenta l’imprevisto, in questo caso un pastore francese, allevatore di capre, alla ricerca di un nuovo posto dove trasferire attività e famiglia. A lui, che fugge da una cultura che non condivide, preferendole una dura ma più naturale vita tra i monti, basta un tetto sulla testa e degli ambienti adatti a svolgere correttamente il suo lavoro.

Riesce così, con molta fatica e grazie all’interessamento di un lungimirante sindaco, a trasferirsi in una vecchia casa priva di comfort, tornando alla vita frugale che i pastori della zona hanno svolto fin dopo gli anni Cinquanta.
Forse è per la volontà di dimenticare quei tempi difficili, o magari per la paura di veder mutare il proprio piccolo mondo, fatto sta che ai paesani il nuovo arrivato non piace: tra un pettegolezzo ed un dispetto, la vita per la famiglia straniera si fa sempre più difficile e mentre si preparano le commemorazioni del grande gesto di solidarietà che unì la popolazione durante la Seconda Guerra Mondiale, si riscopre che non è mai stato ovvio che la convivenza tra compaesani fosse realmente “civile”.
Il regista struttura bene un testo mai scontato, arricchendolo di spunti di riflessione spesso solo accennati e perciò efficaci; su questo costruisce una regia dinamica ed interessante, soprattutto nell’inquadratura, ed in aperto dialogo con la luce sia negli interni che negli esterni. Nonostante i limiti tecnici del digitale, le riprese delle montagne trasmettono con grande efficacia il chiaroscuro cromatico ed emotivo che inevitabilmente le accompagna.
Il film non presenta dei veri e propri attori cinematografici nel cast: tra i curricula troviamo un clown, una pianista, un pittore scenografo, un geometra che si diletta di teatro, solo alcuni con precedenti esperienze nel Cinema o nella Fiction televisiva; tutti però si sono dimostrati più che rispettabili nelle loro interpretazioni, non perfetti ma credibili come tanti altri professionisti del nostro cinema, con in più quella scintilla di passione genuina che trasmette affezione al testo, a compensare le carenze tecniche. Completano il quadro comparse e comprimari, tutti presi tra le valli circostanti, ultimi veri custodi della lingua e della cultura occitane.
Proprio da questa lingua, testimonianza più diretta della “langue d’oc”, oggi parlata da comunità minoritarie sparse tra le alpi italo-francesi ed una valle spagnola, riparte Diritti alla ricerca del rapporto tra identità e felicità, sospendendo i personaggi tra il peso delle proprie scelte e la quotidianità, vissuta come cumulo di tanti piccoli problemi su cui indugiare per non cambiare. Nel film c’è tutto: la pigra incapacità di comprendere “il diverso” e la voglia di rivalsa verso un mondo dalle regole fin troppo ovvie, la riflessione sulla sterilità della memoria quando alla commemorazione non segue una giusta critica e la retorica della stessa quando ne rifiuta l’umanità ed il valore esperienziale. La lingua diventa un tesoro da conservare così stretto da testimoniarlo senza condividerlo, espressione di una civiltà dimenticata perché trascurata dai suoi stessi esponenti; con essa sembra scivolare via nella diffidenza uno stile di vita capace di lasciare tempo e spazio alla riflessione, alla percezione del Sé, alla consapevole scelta della propria strada nella vita.