Giorgio De Chirico 2a parte

Stampa

Nell’intensa attività pittorica di De Chirico sono innumerevoli i soggetti che popolano l’universo metafisico rappresentato; dalle citazioni di architetture classiche, non senza uno sguardo a quelle moderne che lo avevano colpito come torri e ciminiere, si passa alla presenza inquietante dei manichini che, forse più di ogni altro soggetto, caratterizza la produzione dell’artista nel 1915. Nei titoli delle opere essi prendono il nome di “pensatori” e “vaticinatori”, quasi una presenza di figure classiche, che dal passato riemergono nell’era moderna per ricordarci che gli enigmi, ovvero i grandi interrogativi, sono sempre presenti tra gli esseri umani. Ma perché De Chirico sceglie proprio degli elementi appartentemente inanimati per esprimere questo concetto?

La composizione pittorica Enigma di un pomeriggio d’autunno rappresenta, come abbiamo visto nel numero precedente, la statua acefala di Dante: è questa il primo dei soggetti che l’artista ha scelto per rappresentare immagini di enigmatiche figure che non hanno bisogno di occhi e bocca perché, nell’universo metafisico de chirichiano, è così che si esprime la parola vaticinante degli oracoli.
 
Lo scoppio della Prima guerra mondiale vede l’artista impegnato come soldato semplice a Ferrara, dove continua la sua attività dipingendo quadri che spedisce poi a Parigi al gallerista Paul Guillaume. In questi anni i suoi “manichini” hanno un carattere umano, rivelando sentimenti ed emozioni. La scelta cade su alcune figure eroiche, come Ettore e Andromaca avvolti in un tenero abbraccio, e figure classiche, come nella celebre opera Le muse inquietanti, dove la composizione si arricchisce della presenza di architetture che ricordano proprio la città di Ferrara che De Chirico stesso definì “quantomai metafisica”.

Ma soffermiamoci su un’altra celebre opera: Il grande metafisico del 1917. La figura dell’uomo-manichino, imponente ed evocativo, diviene nell’immaginario dechirichiano una torre di oggetti accatastati che segnano la sua altezza di statua. Squadre e righelli, simboli della logica, sono nella parte superiore del dipinto accanto al busto, ma la base della statua è fatta di mobili accatastati: sono i “mobili della valle” che per l’artista rappresentano un ricordo dell’infanzia quando, a causa dei frequenti terremoti in Grecia, gli arredi della casa venivano portati in salvo all’esterno. Nel 1935 De Chirico parla dei mobili collocati momentaneamente per strada in attesa di trasloco come parti della metamorfosi in atto di un uomo, segno evidente di una momentanea assenza di casa.
Ma di quale trasformazione parla l’artista?
Nel 1968 Isabella Far, compagna dell’artista, nella monografia a lui dedicata scrive: “De Chirico conosce­va la difficoltà che per un pittore dell’epoca nostra rappresenta la ricerca dei segreti degli antichi maestri, i segreti della scienza pittorica... come un alchi­mista nel suo laboratorio, cercava la materia meravigliosa... l’emulsione o la pasta che mescolata ai colori avrebbe creato il corpo della pittura”. Ma la sapienza della tecnica pittorica non è la sola che realizza l’artista. Come afferma, infatti, il grande critico d’arte Maurizio Calvesi, in molte opere De Chirico rivela anche l’interesse per le tematiche alchemiche.

Come si ricorderà, parlando di questo tema in un articolo precedente (rivista n. 5, 2004), abbiamo visto che il punto centrale dell’opera alchemica è il passaggio dalla “nigredo”, la notte, l’umor nero della melanconia, alla “rubedo”, la luce illuminante della sapienza.
E proprio in uno dei quadri, forse meno conosciuti di De Chirico, Sole su cavalletto del 1972, (ma realizzato in altre versioni già nel 1966), troviamo rappresentato all’orizzonte l’astro di colore nero, simbolo del momento di oscurità dell’eclissi: lo stesso sole che si accende magicamente su di un cavalletto, come ad indicare la meravigliosa trasformazione che l’arte pittorica può operare sulla materia. Gli anni seguenti vedono l’artista impegnato nella polemica con i surrealisti francesi, nel cui movimento egli era stato precedentemente accolto ed acclamato come l’artista metafisico. Successivamente, però, loro avevano pubblicato la riproduzione sfregiata della sua opera Oreste ed Elettra ed in questa operazione estetica i surrealisti avevano dichiarato tutta la loro dura opposizione al pictor classicus, come egli veniva definito, ed al ritorno ad un “mestiere pittorico” da lui promosso. Come abbiamo visto, però, la grandezza di De Chirico non solo non è stata minimamente offuscata da queste polemiche, ma anzi la solitudine estetica a cui è costretto dà maggior forza alle tematiche scelte dall’artista. Le successive polemiche che gli rivolge la critica del suo tempo, definendo la sua pittura un pastiche, ossia un falso, per il suo voluto ritorno al passato artistico, nonché la sua crisi nei rapporti con l’arte degli anni Cinquanta, non influiscono sulla sua ultima produzione, caratterizzata da uno spirito ironico e dalla volontà di giocare con la realtà, come sempre per De Chirico magicamente sospesa tra il sogno e la quotidianità.