La nave, dagli Argonauti alle Corazzate

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Pubblichiamo un articolo di Filippo Avilia, archeologo subacqueo navale, laureato presso l'Università Federico II di Napoli con una tesi in Filologia micenea dal titolo “Navi e navigazione in età micenea”. Proprio lo studio della navigazione in età antica, insieme con la ricerca archeologica subacquea, iniziata già nel 1982 con le campagne di scavo del Ninfeo Imperiale di Punta Epitaffio a Baia, sono fra i suoi principali interessi.
Collabora con Soprintendenze, Enti Locali, Aziende ed Istituti per attività di scavo e progetti nell’ambito del Ministero per i Beni Culturali. L’archeologia marina e navale costituiscono il tema di numerosi suoi articoli e di interventi in Convegni Internazionali.

Il Mediterraneo costituisce un patrimonio unico per l’umanità in quanto è un vero e proprio museo all’aperto delle arti e delle tradizioni nautiche.
La struttura delle navi moderne risale ad epoche lontane che si perdono nella preistoria e risalgono dalla nebbia dei secoli con le prime tradizioni scritte come l’Odissea o le Argonautiche. Come vascelli fantasma le imbarcazioni di questi primi navigatori ancora oggi percorrono il Mediterraneo attraverso le odierne imbarcazioni con l’alta prua e la poppa ricurva, a dimostrare la bontà della tecnologia di questi primi naviganti.
La storia della navigazione marca una sua prima impronta nella storia con la frequentazione egea lungo le nostre coste: i cosiddetti navigatori micenei. Soprattutto intorno al 1200 a.C. questi navigatori, nella ricerca dei metalli base per il bronzo, giunsero sin sulle coste dell’alto Lazio. Le navi erano fragili imbarcazioni di 12-13 metri con circa 22-23 uomini di equipaggio. Erano imprese eroiche, ove ben si esprimeva la solidità del gruppo ed il valore del capo: uomini come Odisseo, Giasone incarnano lo spirito valoroso di questi primi naviganti.
Questa fu la partenza, immortalata in opere come appunto il viaggio di Odisseo, mitizzato in dieci anni, o nelle Argonautiche ove l’impresa del Vello d’Oro cela, sotto il mito, le prime navigazioni egee nel Mar Nero.
Ciò che risalta da questi racconti è l’elemento mitico, favoloso, che i primi marinai portarono dal mare, incontrando strani animali marini, tempeste furiose, luoghi bellissimi, donne magiche, elementi confusi nella memoria umana e che si riducevano a racconti mitici. Ma la nave, puro elemento tecnico, rimane come fossile guida sino ad oggi.
Da questo schema semplice nacquero i successivi modelli come la famosa trireme greca, che nel 480 a.C. sconfisse la potente flotta persiana a Salamina con la tecnica dello speronamento; la quinquereme romana del I sec. a.C., munita del “corvo”, il ponte di combattimento con il quale la fanteria romana poteva abbordare le navi avversarie.
Cambiano le tecniche di battaglia: con i Romani si passa dallo scontro corpo a corpo a tecniche di lancio a distanza, con catapulte, frombole e baliste; poi ci si avvicina e si passa all’abbordaggio o allo speronamento.
Con l’evoluzione delle tecniche di costruzione navale si evolvono anche le tecniche di combattimento. Si giunge così ai cannoni del 1800 che sparano a poche centinaia di metri sino a giungere ai cannoni delle mitiche (e sottolineo il termine) corazzate della Regia Marina Italiana della Seconda Guerra Mondiale. I cannoni da 381 mm. della classe Littorio che sparavano sino a 42.000 mt di distanza, incredibili anche per l’epoca.
Eppure tutto è nato da pochi legni assemblati, cuciti insieme come riporta Omero.
Ma la tecnologia è un fenomeno fantastico e porta a sviluppi incredibili nel giro anche di pochi decenni. Incredibilmente, pur essendo passati più di 3.000 anni, la forma della nave è rimasta simile: da imbarcazioni di qualche tonnellata a colossi da 40.000 tonnellate.
Forse oggi, quando passeggiamo sulle sponde di qualche spiaggia, battuta dal maestrale pomeridiano, o sulla banchina di qualche porto, osservando lo scafo delle navi, potremmo, con la mente, riandare ai primi mitici navigatori e vedere come la struttura della nave non è cambiata e ripensare a Odisseo, a Giasone e a quelli che hanno navigato senza però lasciare traccia.
Forse, così, sarà come farli rivivere ancora.