Lo sport plasma

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I nostri lettori hanno già incontrato il grande Pietro Mennea nelle pagine di questa rivista (nel n. 7 presentammo un estratto del suo intervento al convegno “Lo sport come educazione alla vita” organizzato dalla sede romana di Nuova Acropoli nel gennaio del 2005).
Ora vi offriamo un’intervista con chi è stato uno dei più grandi atleti del mondo, esempio eccellente di serietà umana e sportiva.

Molti atleti hanno rincorso e raggiunto i loro record spinti da ragioni esistenziali spesso dolorose. Qual è stata la vera forza interiore che l’ha spinta a diventare un’atleta?


La voglia di fare sacrifici, il senso del dovere, la responsabilità, la concretezza sono i fattori che mi hanno avvicinato a un’attività dove l’imperativo è vincere, ma è necessaria anche la sconfitta per la maturazione di un giovane.

Chi ha contribuito in maniera determinante alla crescita della sua maturità di uomo e di campione?
Quando si fa qualcosa d’importante, di solito, non si è da soli. Io ho avuto la fortuna, dopo l’incontro con il prof. Autorino, di conoscere il prof. Carlo Vittori.
Alberto Autorino rimane, nella mia carriera sportiva e nella vita, un fondamentale punto di riferimento. È stato il mio professore di educazione fisica nelle scuole superiori e mi ha avvicinato all’atletica leggera. Era un uomo severo, ma con una profonda umanità e una forte personalità che lasciavano trasparire grandi valori d’intelligenza e notevoli capacità. Adesso mi accorgo che personaggi come lui sono figure importantissime nella vita del giovane che ha la fortuna di incontrarli e delle quali si dovrebbe comprendere tutto il peso per poter mettere a frutto la loro sapienza, intelligenza e capacità.
Poi il prof. Carlo Vittori. Ricordo che la prima volta che mi vide mi scartò perché non mi considerava idoneo ad ottenere grandi risultati nello sport. Ma anche questa decisione è servita per la mia crescita e maturità. Vittori è stato, almeno per l’epoca, il miglior allenatore di atletica leggera per la metodologia d’allenamento. Alla luce dei fatti, posso dire che l’abbinamento Mennea-Vittori ha prodotto i risultati di valore mondiale dei quali sono autore e testimone; inoltre mi ha dato molto dal punto di vista morale, anche se era una persona dal carattere molto difficile.

Cos’è la paura per lei?
La paura è una forte provocazione, capace, per paradosso, di far scaturire quella forza e quella determinazione che t’impone di non sbagliare, di arrivare ad un appuntamento ben preparato, con il senso della responsabilità e la coscienza di aver dato tutto ciò che potevi.
L’uomo responsabile sente la paura come uno stimolo a migliorare la sua persona; sa come prepararsi e affrontare le situazioni per raggiungere qualcosa che sarà importante per la sua vita.
La paura trasforma in cose positive quello che fai.

L’armonia dell’atleta è il messaggio di anni di sacrificio che si consumano nel breve tempo della gara. Quanto è necessario capire il dolore della sconfitta per comprendere e rispettare il valore di una vittoria?
Dalla sconfitta apprezzi di più la vittoria. Quando tornavo sconfitto da una gara, il giorno dopo ero già sui campi per prepararmi meglio. Dietro l’azione della corsa, si consumava il dramma dell’incertezza infinita che puntualmente si manifestava ogni volta che indossavo le scarpe chiodate per un nuovo, importante appuntamento in pista. Si conduceva una vita di sacrifici, perché ogni olimpiade è preceduta da quattro anni di duri allenamenti mirati a raggiungere il traguardo massimo. Poi ci si accorgere che, in quei dieci o venti secondi, si è sbagliato qualcosa e il traguardo, così atteso, è sfuggito. Il nostro sport è severo, ammette pochi errori, ma mi ha fatto capire che attraverso la sconfitta si può costruire qualcosa di più grande. Dopo l’amara sconfitta alle Olimpiadi di Montreal ’76, infatti, ho costruito gli anni più belli della mia carriera agonistica.

C’è ancora spazio nello sport per la pulizia morale? Per principi che aiutino i giovani a credere nell’autenticità delle cose e nell’accettare con serenità il concetto di limite?
Sì, lo sport rimane ancora uno dei settori della vita sociale dove i giovani possono acquisire valori importanti come lealtà, correttezza, rispetto delle regole e degli altri, che animeranno il loro spirito quando saranno uomini inseriti nella società. Il mondo di oggi spesso sembra premiare il furbo, chi prende le “scorciatoie”. Questo non è corretto. Né lo sport né la società possono esimersi dal preparare un mondo futuro in cui prevalgono ancora questi valori, altrimenti avremmo dato per vincente il mondo dei furbi, dove trova spazio il doping. Non possiamo permetterlo.

Un uomo di solido profilo morale e umano come lei, quale contributo ha offerto al “mondo” dei bisognosi, dei sofferenti, di coloro che nascono senza speranza?
Una persona che ha fatto bene nello sport ha la responsabilità sociale di intervenire in favore di situazioni bisognose. Quanto più lo sportivo è importante e famoso tanto più deve dare il suo concreto sostegno verso chi ha bisogno. Da tempo ho fatto mio questo concetto attraverso la Fondazione Pietro Mennea.

Chi è Pietro Mennea oggi? Un professionista, un politico, un uomo di sport?
Smessa l’attività agonistica, nella vita attuale c’è prima il professionista, poi l’uomo di sport e, infine, l’uomo politico. Queste tre figure hanno in comune la mentalità che l’educazione sportiva mi ha consegnato, insegnandomi a maturare e misurare con scrupolo e serietà i fatti della vita, che oggi riverso nella mia professione di avvocato.
Credo sia importante continuare a mantenere alti i valori di serietà, coerenza, dedizione e senso del sacrificio.

Come guarda, oggi, al suo futuro?
Con serenità, consapevole del mio impegno in quello che faccio. Il mio bisogno, come persona, è di mostrarmi sempre vicino alla gente. Viviamo in una società dove non è premiato il merito e chi ne ha può rappresentare un ostacolo. Il nostro impegno è quello di lasciare aperta una porta, affinché chi ha dei meriti trovi spazio e riesca a raggiungere quello che desidera.

Cosa vuol dire Pietro Mennea ai giovani?
La superficialità non porta da nessuna parte. Qualsiasi cosa un giovane scelga di fare nella vita, deve farlo con sacrificio, impegno e dedizione. Se s’impegna in una disciplina sportiva, deve sapere che il risultato sportivo non rappresenta il premio o il momento di massimo raggiungimento. C’è una tappa più importante: il traguardo della vita. È lì che bisogna vincere l’Olimpiade o stabilire il record del mondo ed è difficile, molto più difficile che vincere una gara sportiva.

(Sunto di un’intervista di Angelo Cerchi)