Augusto - Ventenne portò Roma all’Impero

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Cosa avrà pensato Marco Antonio, ormai quarantenne generale e braccio destro di Cesare, quando vide per la prima volta quel sedicenne mingherlino proprio accanto al grande condottiero…
Cesare non aveva figli maschi, ma solo tre nipoti, fra cui preferiva Ottavio e questi, quando a soli undici anni aveva tenuto l’elogio funebre della nonna Giulia, aveva certo assaporato l’orgoglio di discendere dal mitico Enea.
A sedici anni Cesare l’avrebbe voluto portare con se nella guerra contro Pompeo, ma la madre si oppose. Lo zio lo volle comunque accanto nel successivo trionfo.


Anche nella spedizione in Africa, contro i pompeiani, Cesare lo avrebbe voluto con se, ma questa volta fu una malattia del giovane che lo impedì. Ottavio, guarito, volle partire e, dopo un viaggio avventuroso e perfino un naufragio, giunse in Spagna quando ormai, però, Cesare aveva combattuto e vinto. Ma fu questo un episodio che dovette convincere definitivamente Cesare che Ottavio era un uomo vincente.
Divenuto capo assoluto di Roma Cesare mandò il giovane ad Apollonia, alla scuola di Apollodoro di Pergamo. Qui lo raggiunse la notizia dell’assassinio dello zio. Nel testamento Cesare lo rendeva suo erede per i tre quarti del patrimonio e, soprattutto, lo adottava come figlio!
Ottavio si trovò, così, a vent’anni, in mezzo al turbine: restare nell’anonimato di una vita ricca o gettarsi nella politica per vendicare il padre adottivo e, di conseguenza, subire tutto quanto il destino gli avrebbe riservato. Alcuni di famiglia lo esortarono ad essere prudente; a non accettare il testamento e restare fuori dai guai. Molti altri lo vedevano, invece, come un assoluto punto di riferimento e premevano... Quel furbone di Cicerone non lo vedeva neanche come futuro “buon cittadino” pensando che sarebbe stato travolto dai suoi stessi alleati.
Roma era divisa fra due schiere inconciliabili, un po’ come sarebbe accaduto, ancora una volta, nella vecchia Europa duemila anni dopo...
L’odio era forte ed incontenibile: chi voleva la restaurazione della Repubblica; chi voleva un cambiamento epocale.
Ottavio ha solo venti anni: un’età in cui, oggi, si inizia a pensare a come realizzare i propri sogni, non certamente a come conquistare il potere assoluto della potenza più grande del Mediterraneo!
Con la battaglia di Azio terminano oltre cinquant’anni di una continua guerra civile che aveva visto battersi i migliori generali e politici romani senza approdare a nulla, se non migliaia di morti. Quanto avranno pianto gli Avi a vedere i loro discendenti dilaniare così il nome di Roma...

Augusto è il perfetto prosecutore della geniale opera di rinnovazione iniziata da Cesare. Prozio e nipote sono due anime molto differenti ma hanno lo stesso obiettivo, un obiettivo non più eludibile: cambiare il destino di Roma. Stesso obiettivo, dunque, ma con strategie opposte! Cesare è un capitano carismatico; Ottavio è un abile manovratore. Se Cesare è un fulmine di guerra; Ottavio non capisce quasi nulla di arte militare ma sa dare il giusto spazio a chi la conosce molto bene, il grande generale Agrippa. Anche come vita furono gli opposti: Cesare governò Roma per pochi mesi; mentre Ottavio la guidò per ben 57 anni! Il primo morì, com’è noto, di morte violenta; il secondo spirò serenamente fra braccia amiche, dopo aver avuto il tempo di preparare il suo successore all’arduo compito.

Fu un abilissimo politico e lo dimostrò subito, già a diciannove anni quando, con Antonio che cercava di non farlo impadronire della pur legittima ed enorme eredità lasciatagli dal prozio Cesare, racimolò il denaro necessario vendendo sue proprietà per poter dare quei pubblichi giochi e per distribuire il denaro che Cesare avrebbe voluto donare al suo popolo. Una mossa abilissima per tirare dalla sua il popolo; una mossa, diremmo oggi, di abile propaganda d’immagine.

Augusto lavorò moltissimo. Gettò le basi per altri cinque secoli di vita di Roma… eppure il destino era già segnato; come quando una prima cellula impazzita devasta tutte le altre. La grandezza di Augusto segna anche i confini dei suoi limiti. Come tutti i confini separano ciò che è da ciò che non è. La sua grandezza è infatti ingabbiata dall’ignoranza di molti altri Romani, ormai preda di corruzione, mancanza di ideali, incapacità di sentire il richiamo della forza del passato, di quell’Enea che Virgilio si era sforzato di far rivivere nei suoi versi patriottici. Eppure ormai non c’era più nulla da fare, tanto che il segno dei tempi accade già durante il suo regno: l’inattesa disfatta di Varo a Teutoburgo è una premonizione di quello che sarebbe accaduto tempo dopo.

La storia dimostra che c’è un tempo per costruire, uno per godere i frutti della vita ed uno per prepararsi a lasciare tutto... Restaurare è sempre un’operazione parziale e che va comunque controcorrente. Può essere fatta a fin di bene, come nel caso augusteo, ma la sua azione è comunque limitata dalla scarsa comprensione dei contemporanei…
Il primo Imperatore non riuscì a portare Roma indietro nel tempo, all’età arcaica. Pochi lo compresero a fondo e, a volte, lui stesso dovette adattarsi ai tempi come, per esempio, nella concessione ai soldati di poter disporre a volontà dei propri beni, scavalcando la stessa autorità paterna; libertà assolutamente impensabile nella Roma arcaica.

Augusto segna il passaggio tra una Roma che conquista popoli con l’ardore eroico e quella che conquista con l’intelligenza, l’organizzazione e la potenza.

Ottaviano riforma profondamente, ma con calma e sapienza. La precedente struttura politica lentamente si muta in impero: un capolavoro di astuzia politica.
Riduce il numero dei senatori e ne impoverisce l’antico potere nobiliare. Poi si appoggia alla classi borghesi e ricche per crearne uno nuovo: la struttura burocratica imperiale.
Riforma l’esercito, che fino a quel momento era stato ingaggiato solo all’occorrenza, e lo trasforma in una leva permanente per dare alle frontiere una tranquillità ormai indispensabile. I confini sono ampliati e resi molto più stabili. Purtroppo crea anche i famigerati Pretoriani che tanto male faranno al loro impero quando si arrogheranno il diritto di scegliere il futuro imperatore.
Irrompe fra le corruzioni e le debolezze dei suoi contemporanei con leggi che trasformano la moda dell’adulterio in un reato di stato e concede molti vantaggi a che decide di sposarsi, rallentando così quella moda di non sposarsi e non volere figli che stava portando Roma al tracollo. Oggi non sembra di rivivere quelle antiche paure?
Lasciando ampio spazio ad un suo grande amico, Mecenate, dette vita ad un vero e proprio Rinascimento romano che, unitosi, all’ellenismo alessandrino, ebbero il compito importantissimo di salvare il meglio della cultura mediterranea quando sarebbe giunta l’ora estrema di Roma.
Per tutta la vita cercò il suo successore, ma tutti, sembrò una maledizione, morivano: il nipote Marcello, il suo grande generale Agrippa, i giovanissimi nipoti e anche Druso, fratello di Tiberio. Sarà proprio Tiberio, alla fine, ad essere prescelto anche se, a quanto sembra, Ottavio non lo vedesse di buon occhio.
Pochi altri politici di tutti i tempi possono vantare un così vasto campo di successi e di riforme. È un trionfatore, sia per meriti propri sia per aver lasciato fare all’abilità di altri e anche questa è dote da gran politico.