I tredici obelischi della città di Roma (II parte)

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L’OBELISCO DI PIAZZA DEL POPOLO
Alto ventiquattro metri e dedicato a Ramsete II, fu trasportato a Roma nell’anno 10 d. C. da Augusto ed eretto nel Circo Massimo, lungo la spina (l’asse longitudinale dell’arena) e dedicato dall’imperatore al Sole.
Ammiano Marcellino, storico dell’epoca, descrive attentamente il trasporto dell’obelisco: fu costruita appositamente una nave a trecento remi che,

arrivata sulle coste d’Italia, risalì il Tevere fino al Vicus Alexandri, il porto fluviale oggi via Ostiense, distante quattro chilometri dal Circo; l’ultimo tratto fu percorso con un enorme carro. Sulla cima dell’obelisco si trovava, come ornamento, una palla di bronzo che fu sostituita da una grande fiaccola, sempre in bronzo, quando un fulmine semidistrusse la prima.


L’OBELISCO DI PIAZZA SAN GIOVANNI IN LATERANO
Nell’anno 347 d. C., un secondo obelisco venne eretto accanto a quello di Ramsete II nello stesso Circo Massimo ad opera dell’imperatore Costanzo II. Questo obelisco si trovava a Tebe davanti al tempio di Amon; era alto trentadue metri. Ammiano Marcellino fa la traduzione in greco del testo dei geroglifici; esso narra come Tutmosis III lo avesse fatto cavare e trasportare a Tebe; fu però Tutmosis IV a farlo innalzare davanti al tempio di Amon.
L’imperatore Costantino decise di farlo trasportare a Costantinopoli, ma l’obelisco rimase fermo ad Alessandria a causa della morte dell’imperatore. Allora suo figlio Costanzo, eletto alla somma carica, decide di trasportarlo a Roma. Sulla sua base Costanzo farà incidere la storia recente dell’obelisco; essa si legge partendo dal versante del colle Palatino, seguendo le quattro facce in senso antiorario.
Testimonianze della presenza di questi due obelischi nella Roma imperiale sono i celebri mosaici di Piazza Armerina in Sicilia (IV secolo d. C.); un altro mosaico, trovato a Gerona in Spagna; due rilievi, ora nei Musei Vaticani e diverse lucerne e medaglie. Attraverso queste testimonianze si avvalora la storia scritta da Ammiano Marcellino sul cambio dell’ornamento del piramidion.
L’Anonimo Magliabechiano nel 1415, nella sua guida “Sugli obelischi di Roma” dice che, ancora nella sua epoca, i due obelischi si trovavano sepolti nella zona chiamata “Dove stanno gli orti dei cavoli”. L’area dove si trovava il Circo Massimo era divenuta proprietà di privati, tra cui i preti della Chiesa di Santa Maria in Cosmedin, e proprio loro l’avevano trasformata in una piantagione di cavoli.
È solo nell’anno 1587 che Sisto V, grazie all’opera del suo consigliere Monsignor Michele Mercati, li fece ricercare e dissotterrare. Essi si trovavano sepolti a sette metri sotto terra ed erano spezzati in tre parti. Il Mercati usò per ritrovarli un sistema singolare: con i testi classici alla mano, inviò nell’area uomini muniti di un “ferro lungo a forma di un grande ago”; dovevano immergerlo nel terreno e sentire quando trovano materiale duro. Fu così che il giorno 15 febbraio 1587 fu ritrovato a ventiquattro piedi sotto terra il primo obelisco mentre quello di Costanzo sarà ritrovato quattro giorni dopo, a trenta passi di distanza.
L’obelisco di Ramsete II sarà eretto in Piazza del Popolo sulla sua base originale anch’essa ritrovata; quello di Tutmosis III venne eretto in Piazza San Giovanni in Laterano; ambedue si ergono ancora oggi nel medesimo luogo.


L’OBELISCO DI PIAZZA MONTECITORIO
Sempre nell’anno 10 d. C., Augusto portò a Roma un altro obelisco, preso a Heliopolis; alto ventuno metri, di granito, era stato eretto nell’antica capitale egiziana dal faraone Psametico II (594-589 a. C.). L’obelisco venne eretto in Campo Marzio e per questo è denominato Campense; è utilizzato come gnomone di un gigantesco orologio solare.
Campo Marzio era una grande piazza di centosessanta metri per settantacinque, a forma di trapezio, lastricata di marmo bianco; su di essa erano segnati, in bronzo, i raggi che segnavano le ore, le stagioni, i segni dello zodiaco e gli anni. Come riporta Plinio il Vecchio, l’ombra dell’obelisco delineava le ore; questo orologio solare fu costruito dal matematico Facondo Novo, cinquantasei anni dopo la riforma del calendario ad opera di Giulio Cesare; l’orologio era regolato sul giorno natale dell’imperatore ed era eretto in relazione alla posizione dell’Ara Pacis che si trovava sul lato est della piazza. Ancora oggi scendendo nella parte sottostante della chiesa di San Lorenzo in Lucina, nella omonima piazza, se ne possono ammirare i resti.
L’obelisco fu abbattuto durante l’invasione di Totila (VI secolo) e rimase sepolto sotto le case, nel frattempo costruite per tutto il medio evo, fino all’anno 1748 quando Benedetto XIV lo fece recuperare. Trovandolo, però, in pessime condizioni, spezzato in cinque parti e molto bruciato, lasciò l’onere a papa Pio VI, che, nel 1792, lo fece erigere dove ancora oggi lo si trova, in piazza Montecitorio, di fronte al Palazzo dei Tribunali Pontifici, oggi sede del Governo Italiano. Questa piazza era l’antico Mons Citatorius che si collegava direttamente con il Mausoleo di Augusto;. Nella metà del 1400 si costruisce a metà di questo rettifilo il Palazzo Capranica, creando un nuovo assetto urbanistico. Sul piramidion si trova una grossa palla di bronzo con un’apertura al centro che lasciava filtrare i raggi del sole, che si proiettano sulla pavimentazione dove anticamente si trovavano riportate le ore.


L’OBELISCO DI PIAZZA SAN PIETRO
Plinio il Vecchio ci riporta che questo obelisco, alto venticinque metri, privo di iscrizioni, blocco unico di porfido, fu eretto dal faraone Nencoreo, figlio di Xexostris III. Dopo essere trasportato ad Alessandria d’Egitto dal prefetto romano C. Cornelio Gallo ai tempi di Augusto, arrivò a Roma al tempo di Caligola (30 d. C.) il quale lo fece erigere nella spina del Circo Vaticano. Segnaliamo che già in età augustea tutta l’area al lato della odierna Basilica di San Pietro era composta da giardini (horti, di proprietà di Agrippina Maggiore, figlia di Agrippa, genero di Augusto) e da un circo. Più tardi si aggiungerà un tempio dedicato a Iside forse opera dello stesso Caligola. Un anonimo del 1200 che tradusse per la prima volta il testo dei “Mirabilia”, che risale all’anno 1000, ci ricorda che sul piramidion si trovava una grande palla di bronzo dove erano conservate le ceneri di Giulio Cesare: “Memoria Caesaris, id est agulia, ubi splendide cinis eius in suo sarcophago requiescit...”. Anche il prelato inglese Magister Gregorius ci parla di questo nei suoi appunti del viaggio che fece a Roma tra il 1220 ed il 1230.
Si dice che questo obelisco non fu distrutto come gli altri per due ragioni: la prima era relativa alla tradizione delle ceneri di Cesare e la seconda relativa al fatto che l’apostolo Pietro pare fosse stato martirizzato ai suoi piedi; quindi l’area e l’obelisco si consideravano sacri e questo spiega il perché, quando Totila, molto devoto a Pietro, entrato in Roma, non distruggesse l’obelisco.
Nell’anno 1586 Sisto V incaricò il suo architetto Domenico Fontana, che vinse la gara d’appalto per il trasporto dell’obelisco, di erigerlo al centro della piazza della Basilica di San Pietro; il lavoro durò quattro mesi e furono impiegati novecento operai.


GLI OBELISCHI DELL’ISEUM E SERAPEUM
L’imperatore Caligola, nipote di Antonio, fece costruire in forme grandiose l’Iseum Campenses in Campo Marzio. Era costituito da due parti, una dedicata a Iside e l’altra a Serapis; fu distrutto poi nell’80 d.C. e venne ricostruito da Domiziano. Caratteristica dell’Iseum erano i piccoli obelischi, alti non più di sei metri, che si trovavano disseminati nel santuario. Questo, di forma rettangolare, misurava duecentoquaranta metro per sessanta e constava di un gran recinto chiuso a forma di portico, colonnato su tre lati e, sul quarto, con una esedra con portico, al cui centro si trovava la cella della dea.
Nel 1400 l’Anonimo Magliabechiano nella sua guida ci parla degli obelischi di quest’area; altri studi furono fatti nel 1500 dall’architetto Andrea Fulvio (1527), dall’Aldovrandi (1556), da Michele Mercati (1589) e, per ultimo, dal gesuita Atanasio Kiercher, considerato esperto nell’“arte arcana” degli obelischi (aguliae) nel suo libro dedicato al papa Alessandro VII.


(nel prossimo numero la terza ed ultima puntata)